A conclusione del secondo anno

LA DIOCESI E IL CAMMINO SINODALE IN QUESTO SECONDO ANNO

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Il cammino sinodale ci sta interrogando come Chiesa locale, assieme a tutta la Chiesa in Italia, su come possiamo uscire per incontrare chi si è allontanato, come possiamo vivere relazioni più autentiche che rendano le nostre parrocchie delle comunità accoglienti, come possiamo garantire l’annuncio del Vangelo in questo tempo.

Questo secondo anno ci ha visti coinvolti, oltre che sui tre cantieri proposti per tutta la Chiesa in Italia, in modo particolare sul quarto cantiere che il nostro vescovo Giampaolo Dianin ha titolato: “il cantiere delle parrocchie sinodali”. Siamo stati guidati da due idee chiare: rimettere al centro la comunità cristiana, cioè l’esperienza della vita cristiana nella sua autenticità ed essenzialità; e il far maturare la sinodalità nella corresponsabilità della vita di questa comunità cristiana: il sogno, o la prospettiva, di parrocchie nelle quali ogni battezzato e qualcuno in particolare (con l’istituzione di équipe pastorali parrocchiali) si rende responsabile della vitalità della missione della Chiesa.

Queste due idee sono state recepite dal cammino sinodale del primo anno, quindi sono state evidenziate dal nostro confronto. Con il vescovo stiamo incontrando i consigli pastorali, i membri dei consigli degli affari economici e i collaboratori delle parrocchie e unità pastorali per cogliere i punti salienti delle riflessioni poste durante l’anno, cercando di capire cosa concretamente questo significhi per le nostre parrocchie, ancora impostate tradizionalmente sulla necessità di adempiere a molti servizi, e come esse possano convertirsi in vere comunità cristiane.

I punti fermi sono: centralità dell’ascolto della Parola e formazione alla vita cristiana, la celebrazione del giorno del Signore, l’attenzione ai poveri, la cura degli ammalati, una testimonianza credibile nelle relazioni fraterne.

DAL CONFRONTO TRA GLI UFFICI DI PASTORALE

Tra i direttori degli uffici pastorali diocesani, assieme al vescovo, la riflessione si è concentrata sui primi tre cantieri di Betania.

Per quanto riguarda il primo cantiere ci siamo soffermati sul tema dell’ascolto. Di seguito restituiamo e commentiamo alcune idee emerse.

“Ascoltare è mettersi di fronte alla peculiarità delle persone che condividono con noi un’esperienza o che sono i destinatari della nostra azione pastorale in un territorio”. La peculiarità delle persone e di un territorio sono dunque ciò che dovremmo cogliere da un ascolto e da un dialogo aperti all’incontro con gli altri e ad una immedesimazione nelle situazioni di vita. Spesso, invece, la peculiarità è percepita come un diaframma che separa, distingue, filtra la relazione e la depaupera della gratuità che invece caratterizzerebbe l’ascolto di cui parliamo. L’ascolto, allora, è il primo gesto per cucire l’annuncio del Vangelo alla complessità delle situazioni umane.

“C’è difficoltà da parte nostra (della Chiesa) di stare con i giovani, con le coppie; c’è la difficoltà di accompagnare”. È la diretta conseguenza di un’impostazione dell’esperienza ecclesiale appiattita sulla “sacramentalizzazione” e sclerotizzata rispetto alla dimensione missionaria.

I passi del Papa verso l’istituzione dei ministeri e del ministero del catechista sono passi per i quali dobbiamo preparare la realtà italiana”. C’è una realtà che si impone e che chiede ora ad ognuno di rendersi responsabile del proprio battesimo in ordine all’annuncio della fede e, quindi, all’edificazione della Chiesa. Possiamo affermare che ci sia chiaro dove punta la bussola del nostro cammino, ma è importante che maturi una scelta comune.

La nostra riflessione sul secondo cantiere, quello “delle relazioni e della casa”, si è concentrata sulla qualità delle relazioni che instauriamo tra di noi, nei luoghi di coordinamento, e tra noi e i nostri collaboratori. Ecco alcune risonanze.

“La capacità di staccarsi dal ruolo si sviluppa e matura in una prospettiva di servizio del proprio ministero”. Il passo che ci viene chiesto è di non fare del ruolo la parte che spetta ad un personaggio che interpreta una figura, una maschera, nell’intreccio di un racconto. L’immedesimazione nel ruolo si supera spogliandosi della parte da recitare per vivere con autenticità le relazioni, facendo crescere il dono spirituale che si è ricevuto, il Cristo in noi.

“La cura delle relazioni non può essere un optional. Abbiamo il dovere di farci a fianco senza porci su un piedistallo perché tutti sbagliamo”. Nessuno di noi è un’isola per cui le relazioni sono necessarie, ma come discepoli del Cristo, per noi, le relazioni rappresentano l’orizzonte e lo spazio nel quale ci giochiamo quella prossimità che rappresenta il comandamento nuovo, che ci è stato consegnato perché possiamo essere sale della terra e luce del mondo.

“Per non essere noi al centro ma lasciare gli altri al centro dell’ascolto dobbiamo nutrire la nostra interiorità e confrontarci con la Parola”. Per essere evangelicamente decentrati, non possiamo trascurare un confronto quotidiano con quella Parola che è vita, che ci restituisce l’immagine più bella di noi stessi, che fa verità in noi, che ci mostra come non siamo quello che facciamo, ma siamo il modo in cui ci relazioniamo con le persone, con le responsabilità, con noi stessi.

C’è dunque una strada concreta che vogliamo sperimentare: “Sinodalità” è un evento relazionale. Questa esperienza sinodale esige una conversione tra di noi. Spesso le nostre fatiche sono viste dagli altri e il confronto aiuta a prenderne consapevolezza. È importante ritornare all’essenziale. La diversità e i conflitti ci sono e ci saranno: possiamo gestirli male o bene. Gli organismi di comunione sono i primi luoghi di comunione.

Infine il terzo cantiere. La formazione specifica in un ambito pastorale e la formazione spirituale mantengono chiara la consapevolezza che ogni sforzo non si esaurisce nelle attività da programmare e realizzare, ma esso deve essere alimentato dalle ragioni interiori, dal desiderio vivo di annunciare Cristo e di vivere la Chiesa quale esperienza di comunità.

Se non sappiamo stare ai piedi di Gesù non riusciremo neanche a misurarci realisticamente con la prospettiva che diamo ai nostri progetti pastorali, non sapremo mettere in conto anche la fragilità delle nostre forze e il fallimento.

È Dio che innanzitutto costruisce e sentire la necessità di riandare a Lui è il segno di quella umiltà che ci eviterà il pericolo del clericalismo, quando il servizio diviene un potere. È un pericolo trasversale ai preti e ai laici perché tutti siamo portati a confondere il ruolo con il senso di quello che facciamo all’interno della comunità, mentre un servizio nella Chiesa è tale solo se è espressione di un desiderio di amare gratuitamente.

La disponibilità alla formazione è l’apertura del cuore e della mente a “lasciarsi insegnare” e a non pensarsi “imparati”, autoreferenziali. Diversamente arriveremo anche a confondere l’annuncio del Vangelo con quelle buone azioni che siamo disponibili a compiere, solo verso qualcuno. L’appartenenza alla comunità cristiana si atrofizzerà in una socialità dalle sfumature cristiane, senza più trasmettere la vitalità della condivisione e della comunione, senza più essere contagiosa. Così si chiude la strada alla generatività del Vangelo e della Chiesa.

FOCUS SUL TERZO CANTIERE CON LE AGGREGAZIONI LAICALI E GLI OPERATORI PASTORALI

All’incontro delle aggregazioni laicali erano presenti responsabili e aderenti di quasi tutte quelle operanti in diocesi: citiamo l’Azione Cattolica, Meic, Focolarini, Neocatecumenali, RnS, Agesci, Masci, Koinonia S.G.Battista, Familiari del clero, Cooperatori salesiani, Unitalsi, Avulss, Volontari della sofferenza, AdP. All’incontro degli operatori pastorali hanno partecipato in gran numero catechisti e persone impegnate nella liturgia e nella carità.

La riflessione è stata sempre condotta secondo il metodo della conversazione spirituale a gruppi sul tema del terzo cantiere “Formazione e servizio”. Ecco alcuni spunti emersi a conclusione.

Formazione necessaria. È risultata evidente la consapevolezza della necessità della formazione. Se in alcune comunità parrocchiali o Unità Pastorali esiste per gli animatori (es. incontri del vangelo o incontri nei tempi forti), manca un po’ dappertutto quella per i giovani, carenti anche nelle associazioni: non si sa come agganciarli. Una formazione giovanile specifica, si è rilevato, esiste dove operano i Salesiani in diocesi. Ogni aggregazione ecclesiale laicale, del resto, ha la sua proposta formativa e si fatica a condurre quest’opera comune insieme. La formazione non andrebbe percepita solo come un bisogno ma anche con desiderio, sapendo dedicarvi del tempo, che poi torna a beneficio proprio e delle persone che si è chiamati a servire. In molte situazione si attende qualche proposta per potersi formare: potrebbe essere utile, anche se impegnativo, a livello vicariale o diocesano. Non di rado le stesse catechiste si sentono impreparate, tanto più quando ormai manca la formazione cristiana di base in molte famiglie. C’è un’assenza di guide che accompagnino e non si sa come si potrà uscire da questo problema.

Stima reciproca. L’esigenza primaria, anche a livello ecclesiale, sarebbe quella della stima reciproca e del rispetto sia nei riguardi delle persone come nei riguardi delle differenti esperienze ecclesiali. Il parroco dovrebbe essere accogliente verso i vari gruppi e aiutarli a collaborare. In particolare è emersa la necessità di un maggiore spirito di famiglia tra i laici come pure tra laici e sacerdoti e, da più parti, è stata rilevata la necessità di una maggior sintonia tra gli stessi sacerdoti. Anche i sacerdoti dovrebbero vivere tra loro una dimensione più familiare sapendosi sopportare, comprendere e stimare.

Persone consacrate. Altro punto di riflessione affrontato da più gruppi è stato quello della presenza di persone consacrate nelle varie comunità: si tratta (o a volte si dovrebbe trattare) non solo di un servizio liturgico, ma anche di un servizio verso gli ultimi, i malati, gli anziani. Dove le religiose sono presenti con le scuole dell’infanzia c’è la possibilità di un rapporto fruttuoso con le famiglie. Le persone consacrate vanno comunque meglio conosciute e valorizzate; occorrerebbe non solo apprezzarne il servizio, ma anche lo specifico carisma che può arricchire tutti.

Il servizio. Sulla dimensione specifica del servizio si è detto che occorre valorizzare ogni persona disponibile, stimando ugualmente i servizi più umili come quelli più impegnativi, dalla custodia della chiesa ai ministeri veri e propri. Il servizio va svolto con gioia, mentre a volte si è nervosi, faticando a vivere un’autentica spiritualità cristiana. La differenza o lontananza tra gruppi ecclesiali provoca anche una certa disaffezione all’esterno della Chiesa poiché le persone osservano e giudicano il comportamento dei frequentanti. Bisognerebbe anche imparare a ringraziare quanti svolgono dei servizi, a ringraziarsi pure reciprocamente per quanto si fa di bene.

IL PUNTO DELLA SITUAZIONE SUL QUARTO CANTIERE: LE PARROCCHIE SINODALI

Siamo un po’ oltre la metà degli incontri tra il vescovo e le parrocchie, rappresentate dai parroci e loro collaboratori, sul quarto cantiere.

La preparazione di questi incontri nelle Unità Pastorali è stata diversa: chi ha coinvolto solo i membri dei consigli di partecipazione, chi ha coinvolto tutti i collaboratori in parrocchia, chi ha coinvolto tutte le realtà presenti in paese. La partecipazione di chi è stato coinvolto è sempre stata collaborativa. Rimangono alcune domande: È stato dedicato un tempo opportuno al lavoro nel suo insieme o c’è stata la fretta di concluderlo? È stato rispettato l’ascolto di tutti?

La novità e il primo germoglio di speranza che possiamo dire essere un punto fermo sono l’ascolto e il confronto. La consultazione sinodale, e questo confronto, è stata apprezzata dai nostri fedeli. Lo stesso è stato rilevato nei due citati incontri diocesani (quello con i catechisti, animatori della liturgia, operatori della carità e quello con i membri delle aggregazioni laicali).

Dagli incontri nelle parrocchie, pur con qualche eccezione, è emersa solo una lettura dell’esistente, mentre lo sguardo al futuro (lì dove è stato tematizzato) ha una sfumatura, a volte, ancora esortativa, aggravata – per così dire – dall’“una volta c’era…”, anche se in alcuni casi vi è stata la presa di coscienza che non si può più fare come prima.

A volte è sembrato mancare – nel confronto sinodale – il principio della realtà, per cui il pensare che “basterebbe ci fosse un prete giovane o degli animatori o un oratorio aperto” non rilancia affatto una soluzione pastorale adeguata al tempo che viviamo e alle forze che abbiamo. Infatti, calo demografico, calo delle vocazioni sacerdotali ma non solo, calo dei fedeli, sovradimensionamento delle strutture che abbiamo ci chiedono di tenere i piedi ben piantati per terra e mantenere uno sguardo realistico.

Un ulteriore elemento emergente è che ogni realtà va soppesata e non vi può essere una soluzione uguale per tutte le UP, parrocchie o vicariati della diocesi. Ci sono però due criteri di cui tener conto, in via generale: le forze reali che si potranno mettere a disposizione per una ministerialità e le strutture presenti in un territorio. Essi sono due elementi che avranno un maggior peso, nella prospettiva della realizzazione delle parrocchie sinodali, rispetto al numero delle presenze dei fedeli in una singola parrocchia, per ogni modulazione della vita della comunità dei cristiani del luogo. Si evidenzia che c’è un lavoro da fare affinché i consigli di partecipazione crescano e maturino nella corresponsabilità.

FOCUS SUL MINISTERO PRESBITERALE

C’è una conversione, o modulazione, del ministero presbiterale in senso sinodale che non può essere data per scontata e garantita. Dalla teologia del sacramento dell’ordine ai testi conciliari fino a quelli magisteriali seguiti negli anni, il ministro ordinato (sia egli vescovo, presbitero o diacono) non è mai descritto come un monolite a sé stante, anzi: sia dell’identità sia dell’esercizio del ministero sono posti in evidenza le origini, i legami, le relazioni, l’oblatività (cioè l’essere per). Un accostamento serio dei testi a nostra disposizione dovrebbe portare alla maturazione dell’idea che la vita e il ministero di un prete è congeniale allo stile sinodale.

L’intoppo è nella realizzazione pratica-pastorale del ministero presbiterale identificato in ruoli d’ambito, come quello di parroco o vicario parrocchiale o direttore di un ufficio pastorale o altri ruoli, nei quali è accentuata la responsabilità diretta della persona, anche se non per questo è esclusa la collaborazione e la capacità di lavorare in e con un’équipe. Ognuno di noi tende ad essere il protagonista della propria vita. C’è una ricerca del proprio posto, ma è necessario porlo in relazione con gli altri.

SPUNTI CONCLUSIVI

1) Abbiamo constatato che le iniziative di ascolto ai vari livelli sono state molto partecipate e gradite: è importante procedere con questo stile in modo abituale e continuativo, in particolare negli organismi di partecipazione diocesani e parrocchiali.

È poi emersa a più riprese l’esigenza della formazione sia spirituale che ministeriale: occorre trovare le modalità più adeguate a portarla avanti con efficacia.

Nella nostra Chiesa locale permane un certo clericalismo (sia nel clero che nel laicato) e una fatica a guardare oltre schemi precostituiti: è dunque necessario superare questi freni per essere testimoni credibili nel nostro tempo.

2) L’esperienza su cui puntare di più – per noi e per altre Chiese locali – riteniamo sia quella della formazione integrale dei singoli e delle comunità cristiane.

3) Il cammino sinodale sperimentato in questi due anni ci ha fatto capire che le scelte devono essere elaborate attraverso il confronto cordiale e il dialogo aperto, insieme tra preti e laici, e rispondere ad una lettura realistica sulla Chiesa diocesana. Premessa indispensabile è la cura di relazioni fraterne ad intra e ad extra.