Riflettendo sul vangelo - Ascensione del Signore - Anno C

Ascensione del Signore: presenza e missione

Vangelo di Luca 24,46-53

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Nella liturgia di questa domenica l’evangelista Luca ci offre un duplice racconto dell’Ascensione al cielo del Signore: il primo come conclusione del Vangelo e il secondo all’inizio degli Atti degli Apostoli. Dopo quaranta giorni dalla sua Resurrezione, Gesù si distacca dai discepoli, “fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi”.

Questo racconto fa da cerniera tra il tempo della vita terrena di Gesù e l’inizio della missione della Chiesa. Gesù chiama gli undici, un gruppetto di uomini impauriti e confusi, e li spinge a pensare in grande, a guardare lontano, a diventare, per così dire, il racconto di Dio nel mondo. La sua dipartita diventa un atto di enorme fiducia in quegli uomini chiamati da Lui, che lo avevano seguito per tre anni; alla loro fragilità, benedicendoli, affida il mondo e l’annuncio del vangelo.

Con l’Ascensione accade ciò che avviene con ogni bambino, quando la mamma improvvisamente stacca le sue braccia e lo lascia camminare da solo.

Mentre il Signore veniva elevato in alto e gli Apostoli lo guardavano andare in cielo, all’improvviso si presentarono due uomini in bianche vesti che dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”. Un chiaro invito a non cercare più quella presenza fisica di Gesù di cui avevano fatto esperienza nella storia. Gesù non va cercato presso la tomba vuota, né alzando gli occhi verso l’alto; Gesù va cercato, oggi come allora, nella Comunità cristiana, dove Lui ha voluto e vuole rendersi presente.

L’Ascensione di Gesù al cielo non ci descrive la lontananza di Dio ma al contrario la sua definitiva vicinanza. Dio continua a scommettere su ciascuno di noi, ci invia, ci lascia una missione straordinaria da compiere e ci invita a non stare“a guardare nostalgici il cielo”, in attesa che le cose cambino da sole, ma a metterci in cammino, vivendo in pienezza il tempo che ci viene donato. Dio, dandoci fiducia nell’affidarci questa missione, ci fa dono del Suo Spirito per aver la forza di compierla là dove viviamo.

Il Cielo dove Gesù sembra nascosto, è davanti a noi e dentro di noi; il suo Volto, sottratto alla vista degli uomini con l’Ascensione, è reso visibile e presente quando un uomo o una donna nella malattia trovano speranza, quando due persone o due popoli si aprono al perdono e al dialogo superando contrapposizioni, quando qualcuno si prende cura di qualcun altro con carità e senza alcun interesse se non l’amore. Questi i segni testimoniano che Gesù non è scomparso e non ci ha abbandonato, ma è entrato definitivamente nel cuore e nella vita umana: il suo cielo definitivo.

I Dodici dopo l’Ascensione di Gesù “se ne tornarono a Gerusalemme con grande gioia”: anche noi oggi dobbiamo essere gioiosi e non spaventarci a motivo delle debolezze e infermità spirituali, lasciandoci guidare dallo Spirito Santo che ci cammina accanto: “È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre”. Non è più il tempo di essere tutelati e guidati come bambini, è invece, il tempo di mostrare che siamo cresciuti e capaci di testimoniare il modo evangelico di vivere l’attesa del Regno di Dio: non in momenti separati, ma nella vita familiare, professionale, sociale e politica: qui dobbiamo testimoniare la nostra fede.

In Gesù che ascende al cielo abbiamo anche la certezza del nostro destino: conoscendo da dove Egli è venuto, e ora sapendo dove va, conosciamo con certezza dove noi andremo. San Paolo ce lo ricorda: la nostra patria è nei cieli” (Fil 3,20) “e la nostra vita è ormai nascosta in Cristo Gesù” (Col 3,3).

Don Danilo Marin