Anche quest’anno ci fermiamo a contemplare i nostri patroni, Felice e Fortunato, due giovani che come Gesù hanno offerto la loro vita per rimanere fedeli al Signore. Il loro martirio è salito al Padre come profumo d’incenso, un’offerta gradita a Dio e un segno forte e provocante per tutti noi.
Con le parole del libro della Sapienza anche noi oggi ripetiamo: «Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio … La loro fine fu ritenuta una sciagura, ma essi sono nella pace … Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé … li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come l’offerta di un olocausto». Parole confermate da Gesù: «Quale vantaggio se guadagni il mondo intero ma perdi ciò in cui credi?». Felice e Fortunato hanno preferito la coerenza ai loro ideali rispetto ad ogni altra bellezza della vita. Non hanno donato la vita per un’idea, per un’ideologia, ma per una persona che li aveva affascinati e aveva cambiato la loro vita. Sono stati testimoni, hanno obbedito alla consegna che Gesù aveva fatto prima di ascendere al cielo: «Di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Con la loro vita hanno scritto una pagina di vangelo e noi custodiamo quella pagina e anche quest’anno la apriamo per rileggerla e lasciarci provocare da essa. Vorremmo avere oggi lo stesso slancio dei nostri padri; così raccontano gli storici: «Lo slancio di fede e di amore patrio con il quale il popolo clodiense accolse le reliquie dei Santi Martiri fu così ardente che ben presto furono proclamati Patroni principali della città e diocesi».
Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sulla testimonianza perché il termine greco “màrtur” significa sia testimone che martire. Il martire è un testimone particolare, e iltestimone è uno disposto a pagare un prezzo personale per ciò in cui crede.
Quante volte si sente dire da un genitore o da un educatore: «L’importante è dare il buon esempio»; oppure «Più che le parole contano i fatti». È vero, l’importante è essere testimoni, ma ci chiediamo: «Chi è il testimone? Cosa dovrebbe testimoniare un cristiano?». Il martirio ci chiede di usare la parola testimonianza con prudenza perché è una parola impegnativa.
- Il cristiano è testimone di qualcuno
«Di me sarete testimoni» dice Gesù ai suoi discepoli. Ai capi del popolo gli apostoli diranno: «È meglio obbedire a Dio che agli uomini». E Paolo scriverà a Timoteo: «Io non mi vergogno del Vangelo».
Il testimone è colui che ha incontrato Gesù ed è rimasto affascinato dalla sua persona e dalla sua proposta di vita. È colui che cura una relazione forte e viva con Dio, nutrendola con la preghiera e i sacramenti. È colui che ogni domenica celebra la Pasqua con la comunità dei fratelli nella fede. È abitato dalla gioia perché una speranza affidabile sostiene la sua vita anche nelle prove. Il testimone non è uno che fa delle cose, perché queste possono dipendere dalle stagioni della vita, ma è colui che sa stare in piedi e camminare dietro al Signore.
Non ha bisogno di essere imboccato né continuamente richiamato perché è abitato da una legge interiore che è la Persona di Gesù e del vangelo. Il testimone è la persona cambiata da ciò che ha visto, udito, toccato con mano, dall’incontro decisivo che ha segnato la sua esistenza.
Il testimone è lontano da ogni esibizionismo o protagonismo perché è un dito puntato su Gesù non su di sé, e conduce chi lo vede e ascolta non a sé, ma ad aderire a Colui a cui rende testimonianza. Il testimone è allergico ad ogni forma di narcisismo o concentrazione su di sé. Ci sono i leader che
attirano a sé le persone e ci sono i testimoni che sono un ponte che permette alle persone di arrivare al Signore.
- Il cristiano è un testimone coerente
La testimonianza contempla la virtù della coerenza. La coerenza è una virtù rara; non ha nulla a che vedere con un rigido attaccamento a idee abbracciate una volta per tutte e con l’indisponibilità al cambiamento. L’uomo coerente rifugge la divisione e l’ipocrisia e tenta di dare prosecuzione pratica alle sue parole, ai valori che professa, alla fede che lo ispirano.
I grandi valori come l’onestà, la giustizia, la libertà, la fedeltà, la fede, i valori del vangelo, sono solo parole senza uomini e donne che li incarnino nella loro esistenza e accettino di servirli fino a pagarne le conseguenze estreme.
L’incoerenza invece è la prima contro testimonianza portata ai valori che uno proclama o professa e che poi disattende nella prassi quotidiana. La coerenza ha sempre un prezzo ed è l’opposto di chi cambia bandiera a seconda del potere di turno da servire e riverire. La coerenza è anche il termometro di quanto noi crediamo a ciò che professiamo a voce. Gesù è stato coerente dal momento in cui nel Getsemani ha ripetuto le parole che l’hanno accompagnato lungo tutta la vita: «Non la mia, ma la tua volontà». E noi sappiamo che il vangelo ha la credibilità del sangue di Gesù.
- Il cristiano è testimone concreto
C’è anche un volto operativo e concreto della testimonianza. Non c’è solo il volto personale della testimonianza perché al testimone interessa ciò in cui crede e gli interessa trasmetterlo ad altri. Il testimone è coraggioso: sei papà o mamma, sei educatore, sei catechista, sei sindaco, sei impegnato nelle forze dell’ordine, sei un imprenditore, sei un operaio… là tu sei chiamato ad essere testimone di ciò in cui credi.
Il tuo stato di vita, il tuo luogo di lavoro, la tua azienda… là il Signore ti chiama ad essere testimone e anche martire nel senso di essere disposto a pagare di persona per ciò in cui credi. Credo che questo sia uno dei mali più evidenti di noi cristiani: quello che siamo tra le mura di una chiesa, quello che diciamo e professiamo in questo luogo troppo spesso non varca nemmeno le porte per diventare stile nelle relazioni, criterio del vivere sociale, anima delle nostre scelte. Troppe volte gli affetti, il lavoro, l’economia, obbediscono ad altri vangeli che non sono il vangelo di Gesù. Direbbe Gesù: «Non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio è mio discepolo».
- Il cristiano è un testimone che costruisce
Noi cristiani siamo chiamati ad essere dei testimoni particolari perché la verità cristiana è sempre dialogica, sinfonica.
Nessuna rigidità che giudica e condanna gli altri. Siamo chiamati ad essere uomini e donne del dialogo, del confronto, della mediazione. Il dialogo non è la chiacchiera, ma è quel senso delle cose e della vita che cerco di far passare attraverso l’incontro e il confronto. Quella particella “dià” dice proprio questo: il messaggio cristiano va condiviso, scambiato, con lo stile della mitezza, con la pazienza di essere sempre costruttori di comunione, uomini e donne di pace, pronti anche a perdere.
Se io credo alla pace mi sta a cuore che anche tu ci creda; se io credo al perdono mi sta a cuore che anche tu cresca in questo. Se un imprenditore vuole essere onesto e crede all’onestà, gli sta a cuore che cresca attorno a sé l’onestà. Il testimone ama ciò in cui crede e gli sta a cuore di contagiare gli altri.
Un messaggio alla città
Come Vescovo di questa diocesi mi permetto di consegnare alla mia città e diocesi questo messaggio di speranza che viene dal dono dei nostri patroni che abbiamo voluto percorressero oggi la via centrale della nostra città. Signore, dona a questa città pace, giustizia, rispetto reciproco, dialogo, volontà comune di far crescere il bene comune.
Signore, dona ai cristiani di questa città e diocesi di essere in prima linea nel testimoniare la gioia del vangelo.
+ Giampaolo vescovo