Celebrazione di apertura del nuovo anno pastorale 2024-2025

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Riflessione del vescovo Giampaolo
06-10-2024

Cari fratelli e sorelle nello stesso battesimo, cari presbiteri, diaconi e consacrati nei consigli evangelici, con questa celebrazione apriamo il nuovo anno pastorale affidandoci al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, chiedendo la protezione di Maria e di tutti i nostri santi patroni.

Non intendo fare un riassunto della lettera Pastorale che vi sarà consegnata e che ci accompagnerà nel cammino; confido che avrete la pazienza di leggerla, di entrare nei temi che propone, di meditarla con apertura d’animo e disponibilità. Vorrei piuttosto soffermarmi sulle motivazioni che ci hanno portato al progetto delle Comunità cristiane sinodali e ad aprire un processo che sarà lungo e ci vedrà impegnati in questo e nei prossimi anni.

1. Un padre e una madre amano i loro figli, sognano un futuro per loro e si sentono responsabili di fare tutto il possibile perché ci possa essere un futuro. E sanno che il futuro si comincia a costruire oggi, preparandolo passo dopo passo.

Mi riconosco in questa immagine: un vescovo ama il suo gregge e le comunità cristiane dove le persone dovrebbero incontrare Gesù, avere occasioni di formazione, celebrare l’Eucaristia nel giorno del Signore gustando la Parola, nutrendosi del pane della vita e godendo la fraternità cristiana.

Un vescovo deve fare tutto il possibile perché ci sia un futuro per le nostre comunità e sa che il futuro si prepara oggi con delle mete davanti e la pazienza dei passi lenti o veloci, ma camminando in avanti e costruendo già oggi il presente e il futuro.

Un padre e una madre devono osare anche se i figli non sempre sono consapevoli che il futuro è problematico e vivono tranquillamente il presente senza pensare al domani.

Un padre e una madre devono anche affrontare dei conflitti di fronte a qualche figlio che non capisce e non accetta qualche fermo no e qualche promettente sì, nella speranza che un giorno quel figlio possa capire che quelle scelte erano per il suo bene.

Le Comunità Cristiane Sinodali nascono dentro questo amore per la nostra Chiesa, vogliono anticipare e preparare un futuro che è dietro l’angolo, un futuro che per tanti motivi desta preoccupazione.

A voi cristiani che siete in prima linea nelle parrocchie, a voi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, a voi membri di movimenti e associazioni, chiedo di condividere con me l’amore per questa Chiesa, per il presente e per il futuro.

2. Faccio mie le parole di papa Francesco: «Sogno una Chiesa missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per evangelizzare il mondo attuale, più che per l’autopreservazione» (EG 27).

Ecco il cuore della scelta di costruire Comunità cristiane sinodali: si tratta di scegliere se vogliamo conservare, custodire e celebrare il passato o se crediamo nella novità del vangelo e nella sua forza dirompente che non teme la secolarizzazione, i conflitti, il nostro essere minoranza, le nostre fragilità e i nostri peccati.

Ancora papa Francesco: «Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale. In realtà, ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre “nuova”» (EG 11).

Non pretendo che tutti i cristiani intraprendano questa strada. Ogni padre e madre fanno i conti con figli che prendono altre strade. So che oggi molti cristiani hanno scelto di sistemare Dio e la fede in un angolo della loro vita. Desiderano i sacramenti per i loro figli ma non che incontrino Gesù, partecipano volentieri alle processioni ma la domenica hanno altre priorità, esigono che quella persona faccia il padrino anche se non crede nemmeno in Dio e sbattono la porta se gli si dice di no.

Amiamo anche questi nostri figli e fratelli, ma a voi che siete qui oggi, voi che ci credete, che dedicate tempo ed energie alla parrocchia, al Consiglio pastorale, alla catechesi, alla liturgia, a voi che fate parte di movimenti e associazioni che hanno segnato la vostra vita, a voi chiedo di essere come quel resto d’Israele che ha custodito il tesoro prezioso del vangelo ed è stato l’avanguardia del popolo eletto.

A voi chiedo di intraprendere con me questo santo viaggio perché il vangelo e la fede siano ancora vivi, credibili e contagiosi nella nostra diocesi. A voi chiedo non di mettere tra parentesi quello che siete, le vostre idee e appartenenze, ma di “uscire” per far crescere il Regno di Dio sempre più grande dei nostro orticelli.

3. Le Comunità Cristiane Sinodali non piovono dall’alto. C’è stato un cammino di almeno tre anni. È il cammino sinodale nel quale tutta la Chiesa italiana è impegnata e che nei prossimi mesi in due assemblee nazionali arriverà a delle scelte che noi stiamo anticipando. Altre diocesi hanno fatto o stanno facendo scelte simili alla nostra.

Nel mio primo anno in mezzo a voi ho incontrato tutti i preti là dove operavano e mi sono fatto una prima idea della situazione della diocesi. Nel secondo anno ho girato tutte le parrocchie e incontrato i Consigli Pastorali e gli operatori pastorali descrivendo la situazione preoccupante e i sogni che portavo nel cuore per questa diocesi. Pur evidenziando tante problematiche dicevo: «Mi piacerebbe essere non il vescovo di un pensionato ma di una sala parto».

Poi è arrivato il tempo delle decisioni. Lungo tutto lo scorso anno abbiamo riflettuto in Consiglio Presbiterale e nel Consiglio pastorale diocesano. Ne abbiamo parlato nella consulta delle aggregazioni laicali dove ho chiesto alle associazioni e movimenti di non pensare solo a custodire il loro carisma ma di esserci col cuore in questa Chiesa. Ne hanno parlato le consacrate che mi hanno scritto un messaggio molto bello che troverete in appendice alla Lettera pastorale.

4. La domanda che portavo nel cuore era questa: «Come custodire tutte le parrocchie di questa diocesi e nello stesso tempo aprire una pagina nuova, creativa e generativa perché il vangelo possa essere ancora vivo per i cristiani e contagioso per quanti si erano allontanati non per un rifiuto della fede, ma semplicemente perché la differenza tra credere e non credere, partecipare o restare fuori, non cambiava la loro vita?».

Il Covid è stato in un certo senso un’operazione di verità che ha portato tanti a continuare quella lontananza, prima imposta dalla pandemia, poi accolta come prassi normale. Il Covid ha evidenziato la fragilità di una vita cristiana appesa al fragile filo della tradizione e l’ha spezzato con facilità.

Così, provocato dal cammino sinodale e da queste riflessioni, è nata la scelta delle “comunità cristiane sinodali”. Non è una nuova invenzione e non ha la pretesa di essere originale, si tratta di uno sviluppo di quelle che fino ad oggi abbiamo chiamato unità pastorali.

Un nuovo nome ci provoca a riconoscere che ci sono dei passi da fare, un percorso di crescita e di maturazione qualitativo che vogliamo intraprendere. Potevamo continuare a chiamarle unità pastorali, o collaborazioni pastorali, mi è venuto questo nome per evidenziare un percorso nuovo, nostro, proprio di questa diocesi con le sue caratteristiche.

Ecco il senso di queste tre parole:

Comunità.  «Siano una cosa sola perché il mondo creda» (Gv 17,21). I discepoli del Signore sono chiamati a essere sale e lievito della terra, ma insieme sono chiamati a essere città sul monte che tutti possano vedere per rendere gloria a Dio (Mt 5,13-16). Abbiamo bisogno di entrambe queste icone evangeliche. Oggi la testimonianza di comunità unite e fraterne è una vera profezia in una società sempre più individualista.

Abbiamo bisogno di comunità, di fraternità, di camminare insieme. Essere comunità è una sfida nei nostri paesi dove non mancano divisioni, tensioni, conflitti, piccoli poteri inscalfibili. Sembra che il vangelo non riesca a sciogliere queste fatiche relazionali e così tra una qualsiasi istituzione sociale e la Chiesa di Gesù non c’è nessuna differenza.

Cristiane. Nel contesto della secolarizzazione e del pluralismo che caratterizza le nostre società e la nostra cultura, ci è chiesto di dire chi siamo, in cosa crediamo e cosa ci sta a cuore.

Non possiamo più dare per scontata l’identità cristiana che ci definisce; non siamo un’organizzazione sociale e benefica, non siamo un luogo di aggregazione, non siamo gli organizzatori di feste e sagre, siamo, o meglio vogliamo essere, prima di tutto cristiani e oggi questo va detto e testimoniato e non possiamo darlo per scontato.

In una società sempre più lontana dalla fede ci viene chiesto di accettare di essere minoranza e di evidenziare una “differenza” cristiana.

Sinodali. Lo Spirito Santo, attraverso papa Francesco, ci ha consegnato la sinodalità come stile, contenuto, modo di essere Chiesa. Sinodalità richiama la centralità del popolo di Dio, la corresponsabilità preti-laici, il valore dei consigli pastorali, la ministerialità del popolo di Dio.

Questo contesto di crisi legata al calo dei preti e anche al calo dei cristiani, ci chiede di sentirci tutti protagonisti e corresponsabili delle nostre comunità cristiane. Non deve far paura essere pochi, ci deve inquietare il rischio di essere insignificanti.

5. Le comunità cristiane sinodali nascono come risposta a due sfide: la volontà di restare nel territorio custodendo anche le piccole parrocchie, ma, nello stesso tempo, tenendo conto della scarsità di preti, di cristiani e anche di risorse economiche.

Queste nostre fragilità non vogliamo subirle, ma affrontarle con un obiettivo preciso: rimanere una Chiesa presente là dove vivono i cristiani, ma anche viva e capace di annunciare il vangelo, di nutrire la fede di quelli che partecipano e anche di essere missionari verso coloro che per tanti motivi si sono allontanati.

La missione è l’orizzonte e l’obiettivo che ci sta davanti. Missionarietà per noi è passare dal modello della gestione dell’esistente a un modello che osa, propone, coinvolge i cristiani per farli crescere e diventare testimoni del vangelo oggi.

Non vogliamo essere custodi di un museo, ma riprendere ad annunciare il vangelo ed essere una Chiesa viva. Non vogliamo perdere il radicamento nel territorio che trova in molte piccole parrocchie una ricchezza da non disperdere, ma vogliamo che anche chi vive in queste piccole realtà possa nutrirsi di un cibo solido per la propria vita cristiana.

6. Ogni comunità cristiana sinodale ha delle caratteristiche precise che ci sono state consegnate dal testo evangelico dei discepoli di Emmaus che era al centro del cammino pastorale dello scorso anno (Lc 24,13-35).

Una comunità cristiana sinodale, ci testimonia quel testo, nasce dalla Parola e dalla formazione («Non ci ardeva forse il cuore mentre discutevamo lungo la via?»); trova la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione Eucaristica e nella vita spirituale («Si aprirono i loro occhi e lo riconobbero»); si riconosce dalla qualità delle relazioni tra i cristiani e da quella fraternità che ci fa sentire uniti attorno al Signore e al vangelo («Due di loro erano in cammino… Gesù si fece loro vicino»); chiede a tutti quell’impegno missionario e di testimonianza che fa della comunità il trampolino di lancio per vivere da cristiani in famiglia, al lavoro, nella vita sociale e politica, nella costruzione del bene comune, nella carità («Partirono senza indugio»).

Quest’anno cominceremo a costruire il primo muro portante di queste comunità attorno alla Parola, per edificarle sulla roccia della parola e non sulla sabbia di una fragile e generica religiosità. La Parola che risuona ogni domenica, la Parola che possiamo leggere e meditare, la Parola sulla quale dobbiamo verificare la nostra vita.

La Parola non è solo un messaggio di vita o un dialogo tra Dio e l’uomo, è molto di più perché la Parola agisce in noi. Se noi la prendiamo sul serio questa opera in noi come una medicina che ci guarisce; la Parola, infatti, è «viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). La Parola ci dà pace, ma non ci lascia in pace.

7. Il Giubileo che apriremo il prossimo 29 dicembre si inserisce nel nostro cammino per costruire comunità cristiane sinodali a partire dall’ascolto della Parola e dalla conversione che il vangelo ci chiede. È una provvidenza speciale intrecciare questi tre percorsi: le comunità cristiane sinodali, la Parola e la grazia che il Giubileo ci porta.

L’Anno Santo può essere un anno di grazia e di rinnovamento personale e comunitario, un anno in cui celebrare la possibilità di cambiare a cominciare da noi, ma anche insieme, attorno alla Parola nelle nostre comunità cristiane. È la Parola che ci indica il cammino personale e comunitario.

Con il cuore pieno di speranza per il presente e il futuro di questa nostra Chiesa diocesana, in obbedienza alle richieste che la Madonna della Navicella ha fatto a Baldissera perché le riferisse al vescovo, metto nelle mani del Signore e di Maria questo santo viaggio che stiamo iniziando.