La nostra Chiesa di Chioggia, in comunione con la Chiesa italiana, sta vivendo il cammino sinodale. Dopo due anni di ascolto (2021-2022 e 2022-2023), lo scorso anno pastorale ci ha visti impegnati nel discernimento, alla ricerca di quello che il Signore chiede alla nostra diocesi. Ci ha accompagnato il brano di Emmaus e la Lettera Pastorale intitolata “Partirono senza indugio”.
Il cammino sinodale della Chiesa italiana prevede, per l’anno pastorale che si apre, la fase “profetica”, cioè la tappa delle decisioni e delle scelte; noi ci siamo già entrati nel maggio e giugno scorsi.
Lo scorso ottobre, in occasione della due giorni del clero, ho ricordato che c’è un tempo per ascoltare, uno per discernere e uno per decidere. Mi ero impegnato a formulare delle scelte per il mese di maggio 2024 e così è stato. Lo scorso 16 maggio e successivamente il 16 giugno, ho presentato al clero e al consiglio pastorale diocesano le “comunità cristiane sinodali”, il percorso che ci vedrà impegnati nei prossimi anni.
L’anno pastorale 2024-2025 ci vedrà coinvolti su tanti fronti: anzitutto cominceremo a costruire le comunità cristiane sinodali che sono uno sviluppo delle attuali unità pastorali. Metteremo al centro il primo muro portante di ogni comunità cristiana: la Parola e la formazione. Il prossimo dicembre si aprirà il Giubileo, un dono prezioso per lasciarci abbracciare dalla misericordia del Padre e prendere in mano la nostra vita cristiana personale e comunitaria. Sarà ancora la Parola a illuminare questo cammino.
Mi permetto di citare una frase che spesso ho ricordato in questi tre anni dal mio arrivo: «Un nuovo cammino spaventa, ma ad ogni passo ci accorgiamo che era pericoloso rimanere fermi».
È vero che ogni novità può spaventare, rompe equilibri consolidati, ci fa entrare in un tempo incerto, ma restare fermi è una sicurezza solo apparente. Ci interroga la figura evangelica del servo che ha ricevuto dal padrone un solo talento e per paura lo seppellisce per restituirlo intatto. Il padrone loda i servi che hanno cercato di far fruttare i talenti loro affidati, mentre rimprovera quello che è rimasto fermo per paura e non ha fatto nulla (Mt 25,14-30). La nostra diocesi non ha dieci talenti, ma quelli che ha tra le mani non può seppellirli per paura di perderli, ma deve alzarsi in piedi e osare. Papa Francesco ci consegna una Chiesa missionaria, in uscita, e non ferma nelle cose di sempre come se essere cristiani fosse custodire un museo.
Nell’iniziare questo “santo viaggio” (Sal 84) porto nel cuore tante fotografie scattate in questi tre anni di presenza in mezzo a voi: le piccole parrocchie e le persone che con amore se ne prendono cura; tante persone di fede che ho incontrato e che mi hanno commosso e sostenuto; le innumerevoli realtà caritative, a volte imperfette ma comunque preziose; i tanti ragazzi dell’iniziazione cristiana incontrati per i sacramenti con la dolorosa consapevolezza che moltissimi di loro abbandoneranno il Signore; la fatica di molti preti e il loro impegno a volte poco gratificante; le belle celebrazioni e la pietà popolare legata ai santi e a Maria; le tante processioni e le tradizioni così amate e sentite; la dedizione dei consacrati e delle consacrate; la ricchezza dei carismi di associazioni e movimenti.
Sento incalzante la chiamata del Signore a metterci in moto, a non restare fermi: la carenza di preti, la fragilità di tanti cristiani laici, la difficile fraternità… non possiamo restare fermi, è tempo di osare affidandoci al Signore più che alle nostre idee e alle nostre forze così povere e fragili. I talenti che il Signore ci ha donato, cioè le responsabilità che ci ha affidato, piccole o grandi che siano, dobbiamo investirle perché il vangelo continui a fecondare queste nostre terre e la vita dei cristiani e di tutti i nostri fratelli e sorelle.