Sguardo Pastorale

Comunità cristiani nei piccoli paesi

Dalla settimana di aggiornamento pastorale

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Si è da poco conclusa la 72a Settimana nazionale di aggiornamento pastorale a Lucca, nella quale si è cercato di approfondire una riflessione attorno ad una questione che sta interrogando tutte le diocesi italiane: “Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?”.

Non ho seguito lo sviluppo dei lavori ma mi sono imbattuto nella lettura di una lettera scritta da una famiglia immaginaria, la cui vita si svolge in una parrocchia di un piccolo paese di montagna, nel quale anche la chiesa è stata chiusa e il prete non lo si vede se non quando si scende a valle.

È un testo breve ma molto significativo perché riflette da una parte la situazione di disagio del sentirsi pressoché abbandonati e dall’altra quella luce di speranza che cresce con il desiderio di continuare a vivere l’incontro con Cristo e l’impegno dell’educazione alla fede.

“Cara parrocchia di nessuno…”, inizia così questa lettera. È un inizio mesto che fotografa una realtà già molto diffusa in Italia, sia per il calo delle vocazioni sia per la particolare conformazione geografica del nostro territorio. Questo incipit trasmette la percezione di un’incuria, anche se non voluta, da parte di chi dovrebbe mantenere viva la cura di tutti i fedeli affidatigli e trasmette un senso di disorientamento.

Il tenore del contenuto si alterna tra la consapevolezza amara di qualcosa che è andato perduto e il profondo desiderio di continuare a “fare chiesa” in forza di un battesimo ricevuto, della speranza in Cristo che scalda il cuore, del desiderio di vivere la propria missione di sposi e di genitori.

Se la parrocchia esiste ormai sulla carta – questa è la condizione descritta – perché la chiesa è stata chiusa e non vi è più la cura diretta di un parroco, rimangono i segni di una fede che può essere praticata. Come sposi cristiani e genitori sono loro a insegnare le preghiere ai figli e il desiderio di un rapporto quotidiano con Dio è rafforzato dalla testimonianza che come coppia cristiana cercano di trasmettere loro.

La casa domestica è anche il luogo dove può risuonare la Parola del Vangelo per conoscere Gesù e innamorarsi di lui: manca, infatti, il catechismo e la scuola non dice più niente su questo. Lungo una stradina del paese c’è un capitello religioso ma non può certo sostituire la chiesa e la possibilità di partecipare all’eucaristia. A dirci, allora, che l’annuncio della fede può essere semplificato nei modi in cui viene trasmesso e che la famiglia rimane un luogo generativo, e un cristiano adulto deve fare l’adulto, ma non può essere appiattita la riflessione della presenza o meno dell’eucaristia sul livello di un semplice servizio: essa, l’Eucaristia, rimane il tempo e il luogo nel quale ci facciamo come Corpo del Signore Gesù e lo custodiamo. È l’Eucaristia che alimenta il fuoco della fede e della missionarietà di un battezzato.

Questo richiamo mi convince della necessità di ripensare una riprogettazione pastorale delle nostre comunità cristiane a partire da una riflessione proprio attorno al giorno del Signore e all’Eucaristia, anche quando la celebrazione liturgica non potrà più essere garantita ogni domenica in ognuna delle nostre chiese.

Don Simone Zocca

Delegato della Pastorale