“Siamo gli ultimi custodi dell’identità di molti piccoli paesi dove vivono poche persone e la Messa domenicale e la celebrazione del patrono nutrono la fede personale senza che però ci sia l’essenziale dimensione comunitaria. Abbiamo tante parrocchie ma poche comunità cristiane”. Così il vescovo Giampaolo descrive, dopo il primo anno di ascolto, uno dei nodi problematici della nostra Chiesa locale nell’espressione delle sue parrocchie.
Nell’incontrare poi i consigli pastorali e i gruppi di collaboratori, uno dei punti di “conversione sinodale” che egli evidenzia è proprio questo: a partire dall’impossibilità di molte parrocchie di essere autosufficiente nel compiere la missione della Chiesa è necessario puntare a concretizzare la vita della comunità cristiana nella convergenza delle parrocchie di uno stesso territorio.
Spesso, come esempio per far comprendere questo passaggio, il vescovo si sofferma sul modo in cui il triduo pasquale è vissuto nelle nostre unità pastorali: la tendenza generale, finora, è stata quella di moltiplicare il triduo nelle parrocchie di una stessa unità pastorale, compresa la celebrazione di più veglie pasquali nel raggio di alcune centinaia di metri, privilegiando un certo campanilismo rispetto alla bellezza di una celebrazione dignitosamente partecipata. Rispetto a questo “si è sempre fatto così”, è necessario un salto di qualità che passi attraverso la scelta di “unificare” la celebrazione della Pasqua, non tanto per “risparmiarsi” quanto per valorizzare l’esperienza celebrativa che sta al centro dell’anno liturgico e al cuore dell’annuncio evangelico. Per puntare a questo, il vescovo non si è risparmiato nel prendere una posizione chiara sin dall’inizio e nel chiedere con insistenza che si partisse proprio dalla celebrazione di una veglia pasquale unitaria (ad esempio, sin da subito per la città di Chioggia).
Questa domenica inizia la Settimana Santa e dopo la riflessione sinodale sul quarto cantiere, quello delle parrocchie, alcune unità pastorali si sono decise nel dare una forma più unitaria alle celebrazioni sebbene rimangano delle resistenze, perché ancora non ci si è posti in una visione diversa.
Da quanto colgo negli incontri di questo secondo anno di ascolto, abbiamo chiaro che siamo in difficoltà nel trasmettere una forma di vita cristiana feconda; riconosciamo che siamo segnati da molte fragilità e addirittura feriti dai vari personalismi; ci è evidente che la vita sacramentale e liturgica rispondono più a delle abitudini che alla gioia dell’incontro con il Cristo. Eppure sembra vincere il timore di abbandonarci a ciò che è essenziale per vivere come cristiani.
È vero: le nostre contraddizioni sono tante! Ricerchiamo e inseguiamo un idealistico status di felicità e benessere, e non ci rendiamo conto che l’essenziale è avere un centro nel proprio cuore e delle relazioni sane. Questo centro per un cristiano è il Cristo e la sua Pasqua, le relazioni sane sono quelle fraterne di una comunità che tale si possa chiamare. Chiediamoci allora quanto ci teniamo a ciò che è l’essenziale della vita cristiana, della vita con Cristo, quanto siamo disposti a cambiare per non perderlo o se, invece, vi vogliamo rinunciare per lasciare spazio al deserto delle nostre paure.
Don Simone Zocca
Delegato della Pastorale