Sguardo Pastorale

Il presbitero e la sua famiglia

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Mi pare significativo lasciarsi provocare da un tema particolare come quello del rapporto tra il presbitero e la sua famiglia. Metto subito in chiaro che non mi inoltrerò sulla questione di un clero uxorato, questione che molti continuano a porre all’attenzione anche della riflessione sinodale: lo si è colto nel Documento della Tappa Continentale ma prima ancora nelle restituzioni delle consultazioni sinodali nelle varie regioni ecclesiastiche. Non è questo il tema di oggi.

La questione su cui desidero soffermarmi è quella del presbitero e la dimensione della famiglia nella sua vita. È un tema sul quale mi è capitato di incappare in alcune occasioni, con non poca sorpresa personale, e che è stato rilevato anche nel confronto sinodale dei membri delle aggregazioni laicali, svoltosi domenica 5 marzo: a fronte di una verificata difficoltà dei presbiteri di riuscire a mettersi in sintonia tra di loro, a confronto e in dialogo, veniva messo in evidenza la necessità per un presbitero di vivere una dimensione familiare che lo aiuterebbe a pensarsi in relazione con altri e quindi a pensare assieme ad altri, a maturare una capacità di confronto che lo porti a smussare eventuali spigolature caratteriali, a sentirsi sostenuto.

Per due sposi vivere in famiglia, con una famiglia, porta ad un confronto quotidiano con qualcun altro e quindi ad un adattamento continuo dei propri tempi e delle proprie aspettative, così come ad un esercizio della genitorialità che apre la vita all’altro da sé.

Sacramentalmente il presbitero in parrocchia è simbolo del Cristo Capo e Pastore, identità che non necessariamente si deve realizzare nella solitudine del proprio ministero e nell’esercizio individualistico dell’ufficio di parroco o di vicario parrocchiale o collaboratore pastorale. Accanto al sacerdote c’è un gruppo più o meno ampio di persone che vivono la loro appartenenza alla comunità cristiana con un senso vivo della fede e di corresponsabilità. Sono in primis queste le persone che possono garantire una dimensione familiare alla vita del sacerdote. Non bastano però relazioni funzionali alla buona conduzione di una o più parrocchie, per offrire al presbitero un contesto di genuina familiarità. Tra l’altro non tutti i sacerdoti svolgono il loro ministero in parrocchia o, per l’età anziana, vivono in un altro ambiente. Allora è chiaro che qui viene sollecitata una scelta personale e una maturità del prete nel voler vivere una dimensione familiare con alcuni più vicini a lui, che non è il gruppetto d’élite ma quelli con i quali può vivere una familiarità bella che lo sostiene e lo fa crescere come sacerdote e come uomo. Sono quelle relazioni amicali che lo rendono forte, che non lo rinchiudono in se stesso ma anzi lo fanno maturare nell’oblatività. Vi sono addirittura esperienze nelle quali un sacerdote vive con una famiglia della propria parrocchia, in propri spazi ma condividendo i tempi della famiglia, le problematiche e le dinamiche. Una scelta molto particolare ma che dice che questo tema è da mettere a fuoco nella riflessione ecclesiale e nel percorso formativo al presbiterato.

Don Simone Zocca

Delegato della pastorale