Sguardo pastorale - Cammino sinodale

La Nota della CEI sui ministeri istituiti (2)

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Dopo aver descritto i compiti dei tre ministeri istituiti per i fedeli laici (uomini e donne), in questa parte evidenziamo alcune caratteristiche del tempo di preparazione, del discernimento e dell’esercizio del ministero conferito.

L’istituzione di alcuni ministeri è un atto che conferma la necessità di essi per la vita della Chiesa, per la sua missione, affinché anche i ministeri di fatto possano essere ricondotti ad un servizio fecondo e adeguato per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo. Vi è dunque una dimensione vocazionale riconducile ad ogni ministero istituito: chi vi accede non svolgerà una professione né riceverà una carica onorifica, quanto piuttosto si assumerà l’impegno di modellarsi sulla figura di Gesù maestro.

Quando un ministero viene istituito acquisisce la caratteristica della stabilità proprio perché non può essere esercitato con l’improvvisazione della buona volontà di qualcuno ed è un servizio ecclesiale necessario. Chi vi accederà dovrà innanzitutto essere “riconosciuto” dalla comunità cristiana e dalla Chiesa, perché un ministero non viene conferito sulla base di una autocandidatura. Questo riconoscimento avviene sulla base di alcune evidenze circa lo stile di vita, le qualità umane e spirituali, la preparazione teologica e pastorale, il senso di appartenenza ad una Chiesa locale, la buona fama presso la comunità ecclesiale di provenienza, la capacità di collaborare con gli altri.

Alcuni di questi elementi possono essere identificati anche con una certa facilità: ad esempio, uno stile di vita, la buona fama, le qualità umane e spirituali non si improvvisano ma si sviluppano nel tempo e se ne può avere il riscontro abbastanza immediato. Altri, invece, devono essere acquisiti e valutati con il tempo: una fede radicata, la formazione all’esercizio del ministero, il confronto con la Parola di Dio, ecc…

È necessario, dunque, comporre un tempo di discernimento e di un percorso di formazione. Nella nota dei vescovi vengono indicate le finalità dei percorsi di formazione: «Aiutare nel discernimento sulla idoneità intellettuale, spirituale e relazionale dei candidati; perfezionare la formazione in vista del servizio specifico, con la pratica di attività pastorali adeguate; consentire un aggiornamento biblico, teologico e pastorale» (n. 4). Questa formazione può essere offerta grazie all’appoggio e l’aiuto di istituti teologici e di scienze religiose, ma anche con scuole di formazione teologico-pastorale create ad hoc nelle diocesi – aggiungo io pensando alla nostra realtà. Una formazione non solo intellettuale ma anche laboratoriale che preveda un tempo di accompagnamento nel primo periodo di esercizio del ministero.

Infine, un elemento importante è il mandato ecclesiale che i ministri riceveranno successivamente alla loro istituzione: il vescovo diocesano assegnerà loro la facoltà di esercitare il ministero ricevuto in una comunità parrocchiale o in un altro contesto pastorale, per un periodo determinato (normalmente di 5 anni), affidando eventualmente alcuni altri compiti speciali (come per esempio si diceva del catechista istituito nella veste di referente di piccole comunità). Da determinare poi anche i tempi della verifica.

Il cammino è tracciato ma rimangono aperte alcune questioni inerenti alla disponibilità di tempo delle persone e delle risorse economiche che una comunità parrocchiale o diocesana dovrà investire.

Don Simone Zocca

Delegato per la pastorale