Veglia per i missionari Martiri

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Dal Vangelo secondo Giovanni (12, 20- 26)
24-03-2023

Porto Viro

Ora tra quelli che salivano alla festa per adorare c’erano alcuni Greci. Questi dunque, avvicinatisi a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, gli fecero questa richiesta: «Signore, vorremmo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea; e Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.

Gesù rispose loro, dicendo: «L’ora è venuta, che il Figlio dell’uomo deve essere glorificato. In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà in vita eterna. Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà. 

Da 31 anni la Chiesa celebra questa giornata ricordando i missionari martiri, piccoli grani di frumento che sono morti ma che, come un seme, generano vita e rendono credibile l’annuncio del vangelo. Tutto è iniziato con l’uccisione di Mons. Romero nel 1980. In occasione del suo funerale l’esercito sparò sulla folla e fu un massacro senza misura. Nel 1992 sono partire queste giornate a ricordarci che tutti siamo chiamati ad essere testimoni di ciò in cui crediamo.

«Vorremmo vedere Gesù». Alcuni greci, stranieri e pagani, ma simpatizzanti della religione ebraica, vogliono vedere Gesù. Ne avevano sentito parlare: i miracoli, le parole forti che pronunciava, e ora sono pieni di curiosità. Vedere dice desiderio di conoscere, capire, rendersi conto di persona. Non accontentarsi di quello che dice la gente.

Di Gesù c’è la conoscenza che abbiamo ricevuto in famiglia, c’è quella del catechismo, c’è quello che dice la gente e i giornali di Dio, della Chiesa… Possiamo accontentarci di questo, ma è solo il punto di partenza, l’inizio di un cammino. Fermarsi a questa conoscenza sarebbe come pensare di sposare una persona solo in base a quello che mi dicono gli altri. Non vanno così le cose.

In quel vogliamo vedere c’è il desiderio di rendersi conto di persona. Per Giovanni il verbo vedere ha un significato preciso: fa parte del cammino di fede, per arrivare a penetrare il mistero di Gesù. Lo possiamo veramente conoscere solo se vogliamo incontrarlo, vederlo, ascoltarlo, per lasciarsi affascinare dalla sua persona. Chi si ferma alla superficie non lo può conoscere.

Vorremmo che questo desiderio fosse nostro alle porte ormai della settimana santa. Vogliamo vedere per capire, condividere, lasciarci provocare, gustare ancora una volta questo mistero d’amore.

Questi greci vanno da Filippo, questi va da Andrea e poi finalmente vanno da Gesù. Era un brutto momento. All’orizzonte si profilava già il drammatico epilogo della vita di Gesù. Filippo e Andrea avranno pensato in cuor loro: non potevano venire prima? Proprio in questo momento difficile? Possiamo dir loro di venire in un altro momento, adesso non è il caso!

Gesù non la pensa così; ai greci incuriositi Gesù presenta non i suoi miracoli, né i suoi discorsi; il biglietto da visita è la croce. Per Gesù quello era invece il momento giusto per vederlo: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me». Si dice che la qualità di una persona si vede da come sa affrontare le prove e il dolore. Gesù lo possiamo conoscere proprio davanti allo scandalo della croce.

Gesù ora rivela di sé gli aspetti più importanti e difficili. «È giunta l’ora che il Figlio sia glorificato». La croce per Giovanni è l’albero della morte ma anche della vita. E così Gesù parla di sé come del seme che deve marcire. E aggiunge: «Chi ama la sua vita la perde».

Vogliamo vedere Gesù: è la domanda dell’uomo che cerca, e che questa sera sento mia. La risposta di Gesù esige occhi profondi: se volete capire, guardate il chicco di grano, guardate alla croce, sintesi ultima del Vangelo.

Se il chicco di grano non muore resta solo, se muore produce molto frutto. Una delle frasi più celebri e più difficili del Vangelo. Il chicco muore sì, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente. Il verbo principale che regge la parabola del seme è «produce frutto». Gloria di Dio non è il morire ma la fecondità. La chiave di volta che regge il mondo, dal chicco a Cristo, non è la vittoria del più forte, ma il dono di sé.

Per sapere chi sia Dio devo inginocchiarmi ai piedi della Croce. Dio entra nella morte perché là va ogni suo figlio. Ma dalla morte esce come germe dalla terra, forma di vita indistruttibile, e ci trascina fuori, in alto, con sé.

Questa sera il seme che muore ha i volti di suor Maria De Coppi e del beato Sandro Dordi. Ma ricordiamo anche i 18 missionari morti nel 2022: 12 sacerdoti, un religioso, tre religiose, un seminarista, un laico. Nigeria, Congo, Tanzania, Messico, Honduras, Bolivia, Molti di loro hanno bagnato col sangue la terra che li aveva visti nascere, crescere e donarsi al Signore.

Gesù aveva abbracciato ogni situazione della vita umana: la nascita da una donna, 30 anni di vita in famiglia, il lavoro, la gioia e il pianto, l’amicizia e il tradimento; aveva incontrato la malattia, la prova, la cecità e tutte le forme di limite; si era confrontato con la ricchezza e la povertà… per condividere fino in fondo la nostra condizione umana doveva affrontare anche la morte. Lo fa assumendo quella peggiore: quella del giusto che muore innocente. I missionari martiri sono persone che hanno condiviso la vita della loro gente, consapevoli che poteva succedere di essere chiamati a condividere anche la morte.

«Dopo aver amato i suoi li amò fino alla fine» fino al dono della vita. «Non c’è amore più grande di chi dà la vita» e Gesù non si difenderà, non si giustificherà, ma accetterà di morire per amore. Poco prima aveva lavato i piedi ai discepoli dicendo loro che li amava, ad uno ad uno.

A noi che sentiamo la morte come fine, Gesù insegna a pensarla come seme che produce frutto. Ma non sono parole banali. Gesù ha paura della morte: «L’anima mia è turbata, salvami da questa ora» Ma poi subito aggiunge: «Ma per questo sono giunto a questa ora».

«La Croce non ci fu data per capirla ma per aggrapparci ad essa» (Bonhoeffer). La croce non sempre la capiamo, ci viene spontaneo tenerla lontana, ma ci seduce, ci rassicura, ci aggrappiamo ad essa per cercare un senso a tutte le fatiche della vita.

Vogliamo vedere Gesù? Vogliamo capirlo? Dobbiamo fare i conti con questo gesto supremo d’amore che è la croce. E oggi a pochi giorni dalla settimana santa e dalla pasqua la croce viene presentata anche a noi perché ci prepariamo a vivere quei giorni. La settimana santa, la pasqua a cui ci avviciniamo sia il nostro incontro con l’amore, quello che ha la possibilità di trasformarci.

+ Giampaolo vescovo