In questa celebrazione gli oli santi sono al centro dell’azione liturgica. Il Vescovo con tutto il presbiterio li accoglie, li benedice e nutriranno il cammino spirituale dei cristiani.
Una celebrazione solenne nella quale i presbiteri si fermano e davanti a Dio e alla Chiesa rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione. Oggi cari presbiteri rinnoviamo il nostro sì a Dio e alla Chiesa e nelle vostre mani unte con il sacro crisma vengono posti questi oli benedetti, tesori preziosi perché esercitiate il ministero a voi affidato per il bene del popolo santo di Dio.
Nei Sacramenti il Signore ci tocca per mezzo degli elementi della creazione. L’unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia l’uomo intero, corpo e anima. Pane e vino sono frutti della terra e del lavoro umano. Il Signore li ha scelti come portatori della sua presenza. L’olio è simbolo dello Spirito Santo e, al tempo stesso, ci rimanda a Cristo, l’unto per eccellenza.
Il protagonista di oggi però è l’olio. La nostra diocesi è piena di ulivi grazie anche all’amore e alla passione del vescovo Adriano per questa pianta che abita tante pagine e scene della Scrittura. L’ulivo richiama la pace e la riconciliazione; l’olio ci parla di cura e di misericordia. Quest’anno ci è stato donato l’olio ricavato dagli ulivi piantati a Capaci in Sicilia dove è stato ucciso il giudice Falcone, sua moglie e la scorta. Dio ci incontra dentro questa nostra storia ferita e povera, ma sempre amata. In quattro Sacramenti l’olio è segno della bontà di Dio che ci tocca: nel Battesimo, nella cresima, nell’Ordine e nell’Unzione degli infermi. Così l’olio, nelle sue diverse forme, ci accompagna in tutte le tappe e i passi della nostra vita. Vorrei questa sera legare il segno dell’olio al nostro ministero di sacerdoti e di pastori.
C’è innanzitutto l’olio dei catecumeni. Fin dalla nostra nascita Dio ci ha toccato, ci ha accarezzato, ci ha riconosciuti come figli, ci ha avvolti col suo profumo perché un po’ alla volta potessimo imparare a riconoscerlo come un neonato nei primi mesi riconosce l’odore e il calore della mamma.
L’olio dei catecumeni ci dice che molto prima che l’umo cerchi Dio, è Dio stesso si mette alla ricerca di noi. Il fatto che Egli stesso si sia fatto uomo e sia disceso negli abissi dell’esistenza umana, fin nella notte della morte, ci mostra quanto Dio ami l’uomo, sua creatura. Spinto dall’amore, Dio si è incamminato verso di noi. Il battesimo è un dono come lo è la vita nella quale ci siamo trovati senza averla scelta. Siamo frutto dell’amore dei nostri genitori e siamo accarezzati fin dall’inizio dal profumo di Cristo.
Cari presbiteri, questo è il primo compito affidato al nostro ministero: annunciare a tutti che siamo amati da Dio. Dio ci ha donato la vita cristiana così come i nostri genitori ci hanno donato la vita fisica. Nel grembo di una madre siamo stati formati come uomini e donne, nel grembo della Chiesa siamo stati generati alla vita cristiana. Se, come dice papa Francesco, dobbiamo avere l’odore delle pecore, è per poter donare loro il profumo di Cristo. Avere l’odore delle pecore vuol dire conoscere la nostra gente, la loro vita, il loro modo di sentire, la loro cultura, e partire da questo per donare il profumo amorevole del Signore. Siate annunciatori e testimoni dell’amore di Dio, della sua paternità e della grazia di essere figli amati. Nessuna arroganza, nessun dito puntato, nessuna logica di potere accompagni il nostro servizio al popolo santo di Dio.
L’olio dei catecumeni è anche l’olio del lottatore. Nell’antichità chi doveva combattere nelle gare sportive si ungeva d’olio perché il nemico non riuscisse ad avere una presa su di lui. Sappiamo che nel battesimo siamo liberati da quel peccato originale che ereditiamo per il fatto stesso di essere uomini e donne, ma nello stesso tempo veniamo abilitati a entrare nella lotta contro il male che durerà tutta la vita.
Cari presbiteri non smettiamo di essere dei lottatori prima di tutto verso il male che abita in noi. Tutti abbiamo le nostre fragilità, il nostro carattere, le ferite che a volte sanguinano. Non smettiamo mai di essere dei lottatori per noi e per il nostro popolo che ascolta quello che diciamo, ma soprattutto guarda a come siamo e a come viviamo.
C’è poi l’olio per l’Unzione degli infermi. «Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi» (Lc 9,2). Quanti anziani, quanti malati, quante persone provate nel corpo e nello spirito, quante lacrime abitano le nostre comunità. E se allarghiamo l’orizzonte vediamo ancora guerre, vediamo l’aumento dei barconi che arrivano da noi.
Guarire è un incarico primordiale affidato da Gesù alla Chiesa, secondo l’esempio dato da Lui stesso che risanando ha percorso le vie della Palestina. Noi crediamo che c’è una guarigione particolare avviene proprio nell’incontro con Cristo, nel lasciarsi toccare e ungere da lui che ci riconcilia con Dio e risana il nostro cuore affranto. Quella che nel passato veniva chiamata estrema unzione oggi chiamiamo unzione degli infermi perché, come tutti i sacramenti, sono doni per la vita. Nel caso della malattia l’unzione è per sostenere un malato nella sua prova e invocare la guarigione.
Cari presbiteri, l’olio degli infermi ci ricorda che noi siamo strumento della tenerezza di Dio; siamo chiamati a consolare gli afflitti, a incoraggiare coloro che non hanno speranza, a pregare per tutti coloro che ce lo chiedono. Gesù passava per i villaggi, incrociava gli occhi dei poveri, li toccava, imponeva le mani. Siate misericordiosi verso i peccatori, pazienti con tutti, uomini di comunione laddove ci sono divisioni, medici delle anime e dei corpi.
Infine c’è l’olio del sacro crisma, una mistura di olio di oliva e profumi vegetali. È l’olio dell’unzione sacerdotale e di quella regale, come avveniva fin dall’Antica Alleanza. Siamo tutti dei consacrati nel battesimo, confermati nella cresima. Noi preti siamo stati unti nel giorno dell’ordinazione.
Il crisma ci ricorda la comune radice battesimale. È importante che noi presbiteri lo ricordiamo sempre: «Con voi cristiano, per voi prete». Siamo tutti parte del popolo di Dio con ruoli diversi ma ciò che ci unisce e ci rende uguali è lo stesso cognome di cristiani che ci identifica prima del nome che richiama la nostra vocazione.
«Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa. Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio» (1Pt 2,9s). Sono parole che risuonano alle nostre orecchie da sempre, che il Concilio ha riaffermato con solennità e che l’attuale cammino sinodale non smette di richiamare.
Sogniamo una Chiesa sinodale nella quale Cristo sta al centro e tutti noi, con carismi e ministeri diversi, siamo attorno a lui per discernere la sua volontà e viverla. Un popolo unito attorno al suo Signore. Ma tante volte siamo anche noi come i cristiani di Corinto che Paolo con sofferenza rimprovera: «Io fratelli non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali, ma carnali, come a neonati in Cristo […] Dal momento che vi sono tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera umana?» (1Cor 3,1-9). E Pietro nella sua lettera corregge anche i pastori: «Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce» (1Pt 5,1-3).
Non vogliamo ridurre la sinodalità a uno slogan; papa Francesco ci dice che la sinodalità è quello che Dio sia spetta dalla Chiesa del terzo millennio. Il lavoro sui cantieri di Betania non è una cosa in più da fare; vivendoli stiamo già costruendo una Chiesa sinodale. Vorrei ringraziare tutti i parroci delle comunità che si sono impegnati a preparare l’incontro del Vescovo con i Consigli pastorali, i consigli per gli affari economici e gli operatori pastorali. Il volto di una chiesa sinodale è un processo già iniziato e confidiamo che sia per questa Chiesa una primavera.
Cari presbiteri, tra poco rinnoveremo le promesse fatte nel giorno dell’ordinazione. «Volete rinunciare a voi stessi? – Volete essere fedeli dispensatori della Parola e dei sacramenti?». Possiate essere annunciatori e testimoni dell’amore paterno di Dio, medici delle anime e dei corpi, uomini di comunione dentro quella chiesa sinodale che stiamo cercando di edificare.
+ Giampaolo