Natale, Zittire i lamenti e dire qualche Grazie!

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Il vescovo Giampaolo in visita all’ospedale di Chioggia.
15-12-2023

La Parola di questo venerdì di avvento ci invita a riflettere sul lamento. Si tratta di una manifestazione di dolore o di rammarico, di insoddisfazione o anche di risentimento per qualcosa che è successo o che ci è successo. Il suo contrario è la gioia, la soddisfazione, l’approvazione, l’elogio per qualcosa di bello che è successo o che ci è successo.

Noi ci lamentiamo per tante cose: la salute, gli anni che passano, per qualche persona che non ci piace, per le cose che succedono nel mondo, per quello che non funziona, perché non ci dicono grazie, perché non viene riconosciuta un’azione buona che abbiamo fatto. Ci lamentiamo anche di Dio quando sembra si sia dimenticato di noi, non risponda alle nostre domande o preghiere, perché non interviene a fare giustizia, perché non ci ridona la salute.

Lamentarsi fa parte della nostra vita, è un sentimento umano, comprensibile. Molte volte è anche giusto, ci sta perché le cose non vanno come dovrebbero andare. Molte volte però il lamento diventa uno stile, un vero e proprio vizio, una forma di pessimismo proprio di chi vede sempre il bicchiere mezzo vuoto e non riconosce mai che potrebbe essere guardato anche come mezzo pieno.

Il lamento può essere anche una preghiera. Nella Bibbia ci sono i salmi di lamentazione nei quali il credente piange, soffre per le cose che non vanno bene e invoca Dio quasi a volergli dare uno scrollone perché intervenga. Altri salmi contengono i lamenti per i propri peccati, per gli errori fatti. Il credente piange e si lamenta per non essere stato fedele a Dio.

Verrebbe da dire che c’è un lamento buono e uno cattivo o almeno problematico. Quello buono è proprio di chi ha l’umiltà e il coraggio di lamentarsi di se stesso, delle proprie lentezze, fragilità, tradimenti. Quello cattivo è quello di chi vede attorno a sé tutto sbagliato e mai si interroga su se stesso.

Gesù oggi ci parla del lamento nei suoi confronti: «È venuto Giovanni Battista che non mangiava e non beveva e avete detto che era un indemoniato; sono venuto io che mangio e bevo e dite che sono un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori». E aggiunge: «Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie». Gesù ci chiede di fermarci e studiare il nostro modo di lamentarsi. È buono, giusto o è sbagliato, scorretto, una fuga, una semplificazione della situazione.

Il mondo della sanità, degli ospedali, delle case di riposo può essere un centro di lamentazioni per mille motivi e non serve che io qui li ricordi. Il malato si lamenta del medico e dell’infermiera; il medico della sanità. Tutti vorremmo la perfezione o la giustizia, ma sempre dagli altri, da chi sta fuori di noi. Ripeto: può essere giusto. Ma Gesù oggi ci chiede di guardarci dentro e verificare il nostro modo di lamentarci.

Mi chiedo e provo a rispondere a questa domanda: «C’è un modo giusto di lamentarsi?»

Anzitutto credo che serva umiltà e sapienza, come dice Gesù. È importante non fermarsi alla superficie delle cose. Cercare sempre le ragioni o le giustificazioni per quello che succede attorno a noi. Anche nella giustizia si dice che l’altro è innocente finché non viene dimostrato che è colpevole. Qualcuno potrebbe dire che questa è ingenuità, ma è una “benedetta ingenuità” quando riguarda le persone.

Una seconda attenzione è quella di guardare noi stessi: Gesù direbbe che dobbiamo riconoscere la trave che c’è nel nostro occhio prima di lamentarci della pagliuzza che c’è nell’occhio del fratello.

Una terza attenzione credo sia quella di cercare sempre il positivo, il bene che c’è dappertutto anche se non è mai perfetto, ma sempre perfettibile. La sanità può avere mille carenze, ma come non riconoscere quanto fortunati siamo nel nostro mondo ricco per le possibilità che la maggior parte dell’umanità non ha?

Il Natale non è la festa dell’ingenuità, non è la sagra del buonismo, non è la finzione di volerci bene quando in realtà non è così. Il Natale è un tempo di verità ma di una verità che non uccide ma edifica. Dio si fa uomo perché ama l’umanità, ogni essere umano. Dio non ci guarda per lamentarsi di noi anche se ne avrebbe buoni motivi; Dio si fa prossimo, pianta la sua tenda in mezzo a noi per farci crescere.

A Natale sarebbe bello poter cantare le parole del salmo: «Hai mutato il mio lamento in danza, mi hai tolto l’abito di sacco e mi hai rivestito di gioia» (Sal 30,12). Natale è il tempo in cui possiamo almeno zittire i lamenti e dire qualche grazie, riconoscere il bene che c’è attorno a noi. Cambiare non è sempre rovesciare tutto, ma costruire sul bene, poco o tanto che sia, un bene più grande.

Mi permetto di accennare anche a un altro lamento che ha i tratti di una sofferenza. È il lamento di non pochi medici che sono venuti anche a bussare alla mia porta preoccupati del presente e del futuro del nostro ospedale. Non ho visto in loro pretese, consapevoli che si tratta di un ospedale piccolo, ma sofferenti perché tante volte mancala possibilità di donare ai malati l’essenziale e questo li costringe a fare tanta strada per trovare altrove quello che qui non c’è.

Il Signore ci doni quel lamento buono che costruisce e non distrugge. E ci conceda di ascoltare quel lamento che sa di sofferenza e che dobbiamo tutti cercare di ascoltare.

+ Giampaolo vescovo