Giornata del malato

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Domenica VI Ordinario B.
11-02-2024

«Non è bene che l’uomo sia solo»; è questo il tema della 32ª giornata del malato. Nel concretizzare questo progetto iniziale del Creatore, papa Francesco ci indica la strada: «Curare i malati curando le relazioni». Se nessuno di noi può vivere senza relazioni, per chi si trova nella malattia le relazioni sono una medicina essenziale, una cura che nessun farmaco può sostituire.

Non è facile parlare della malattia, potrebbe farlo chi la vive sulla sua pelle, mentre noi rischiamo di fare discorsi troppo teorici. Tuttavia la Parola appena ascoltata e questa giornata ci invitano a farlo e noi ci proviamo con tanta umiltà, sussurrando alcune parole, soprattutto dando la parola a Gesù e al suo incontro con l’uomo malato di lebbra che oggi rappresenta bene tutti i malati.

Un uomo senza volto e senza nome. Sembra un fantasma apparso sulla strada di Gesù. In realtà i lebbrosi, a motivo della loro malattia contagiosa, non erano uomini ma fantasmi.

Succede quasi sempre nella testa e nel cuore di ogni malato: un senso di solitudine perché la malattia tocca proprio lui. Succede in modo drammatico a chi non ha nessuno accanto che lo aiuti, lo sostenga, lo incoraggi e se ne prenda cura.

La prima lettura ci ha descritto la condizione dei lebbrosi al tempo di Gesù. Non potevano abitare nei villaggi ma in luoghi appartati; quando si muovevano dovevano far sentire a tutti che stavano passando perché la gente si potesse allontanare. Malati ma soprattutto soli, senza relazioni, senza affetti né legami. Come questo non bastasse una certa teoria affermava che dietro la malattia c’era un peccato o di loro o dei loro genitori, per cui anche la compassione sembrava avere poco senso. Malati e colpevoli della loro malattia.

Il lebbroso del Vangelo è abituato a gridare. La prima lettura dice che il lebbroso doveva gridare «immondo!» in modo che la gente si potesse allontanare. Ma quello del Vangelo urla altre parole: «Se vuoi, puoi guarirmi». Stanco di fuggire, stanco di urlare, si inginocchia davanti a Gesù probabilmente mantenendo una certa distanza. Mi colpisce quel «se vuoi»; il lebbroso non rivendica diritti, non impreca contro Dio e il suo destino. Umilmente chiede, implora.

Il vero grido è quello che sorge sulle nostre labbra: «Qual è la volontà di Dio?» «Cosa vuole Dio?» «Perché permette questo?». È la domanda di chiunque si trovi nel dolore e nella malattia. Perché? Anche al vecchio Giobbe, in affanno per il suo male, viene il dubbio che Dio voglia il dolore, che Dio si disseti delle lacrime degli uomini.

La risposa di Gesù inizia da una parola precisa: «Lo voglio: guarisci!». È una parola che pronuncia il Figlio di Dio e ci rivela qualcosa del volto di Dio e della sua volontà. Dio vuole la vita, vuole il bene, non la sofferenza e la morte. A Lazzaro morto da tre giorni aveva urlato: «Vieni fuori»; alla figlia di Giairo aveva detto: «Talita kum, alzati» e mille altre volte ricordiamo Gesù che guarisce e risana. Dio è guarigione, vita, anche se non conosciamo i modi, i tempi che non sono quasi mai quelli del miracolo o di quello che vorremmo noi.

Dopo questa parola Gesù compie un gesto: tocca il lebbroso. Un gesto forte, scandaloso, che non si poteva fare. «Mosso da compassione, stese la mano e lo toccò». Nessuno aveva mai toccato quel lebbroso, ma Gesù lo fa. Spezza la sua solitudine, lo incontra, gli fa sentire la vicinanza umana, l’affetto, l’amicizia.

«Non è bene che l’uomo sia solo», nessun uomo e in particolare i malati. Se anche non fosse stato guarito quel tocco era già una guarigione dalla solitudine e dall’isolamento. Il lebbroso viene restituito alla comunità degli uomini.

A noi non è dato di guarire i malati, ma a ciascuno di noi è data la possibilità di provare compassione, di inventare gesti e parole che leniscano il dolore e la solitudine che isola chi è nella malattia. La parola è più facile ma mantiene la distanza; il gesto del toccare può costare, ma è una medicina perché trasmette amore, condivisione e partecipazione. Toccare non è guarire, ma può essere l’inizio della guarigione. Il dolore chiede parole ma soprattutto calore, contatto.

L’ultima scena ci mostra Gesù che chiede al lebbroso guarito il silenzio perché teme che quella guarigione non sia capita e che la gente vada da Gesù solo per cercare il miracolo. Ma lui non ce la fa a tacere e a tutti parla del suo incontro con Gesù. Il Vangelo si sofferma sulle conseguenze di questa disobbedienza: «Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti» (Mc 1,45). La vicinanza di Gesù con l’uomo malato ha un prezzo: Gesù stesso diventa un escluso, un reietto. È Lui, ora, ad essere inavvicinabile, a doversene stare fuori, lontano. Aveva guarito il lebbroso e ora Gesù si ritrova nella stessa condizione di solitudine e isolamento. A noi che a volte ci lamentiamo con Dio, il vangelo ricorda che lui è vicino e prossimo ad ogni malato. Condivide la condizione di solitudine e di abbandono. Sulla croce arriverà alla piena solidarietà con l’uomo (Lc 23,40).

La debolezza dell’uomo, la sua malattia, il suo male, assunti da Gesù diventano luogo in cui Dio si rivela proprio nella sua scelta definitiva e scandalosa di un amore che non esclude nessuno.

Il lebbroso guarito ci invita ad osare questa salvezza: è bastata una supplica, poche parole sussurrate dal profondo del suo dolore. E la sua distanza da Dio è immediatamente svanita.

Portiamo nel nostro cuore le due facce di questa pagina del Vangelo e di questa giornata che è rivolta in modo particolare a voi che siete accanto ai malati, ai ministri straordinari della comunione, ai medici e agli infermieri: 1) la prima è quella della condivisione del dolore e della malattia di chi ci sta vicino. Qualcosa possiamo fare tutti: una parola ma soprattutto il toccare come segno di un legame, di una condivisione, di una partecipazione. Non è la guarigione ma il suo inizio. 2) la seconda faccia è quella che riguarda ciascuno di noi quando anche noi ci sentiamo malati, feriti, affaticati. Credere in Dio è anche sentire la sua mano che ci tocca, che ci sta vicino e ci dice: «Lo voglio, sii guarito».

+ Giampaolo, vescovo