Il ricordo di don Giuliano Marangon negli incontri in Germania

Sul filo dei ricordi: una persona modesta e gentile

Facebooktwitterpinterestmail

Ebbi la fortuna di conoscere personalmente il card. Joseph Ratzinger nel periodo dei cinque lustri in cui, a partire dagli anni ’80, nel mese di agosto ero invitato a portare un modesto servizio nel duomo di Frisinga , già sede episcopale di Monaco di Baviera. L’invito mi veniva rinnovato ogni anno dal rettore del duomo, il prelato Michele dr. Höck, che era stato anche rettore del Seminario teologico, lì a Frisinga, negli anni in cui Joseph Ratzinger studiava teologia, e dove poi lo stesso Ratzinger, conseguita la laurea, insegnò per un paio d’anni Teologia fondamentale, prima di essere chiamato come teologo in altre prestigiose Università della Germania, poi alla Cattedra arcivescovile di Monaco e successivamente a Roma quale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Il card. Ratzinger era solito venire proprio nel mese di agosto a salutare il suo ex rettore, ormai anziano, e a onorare il duomo dove aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Veniva insieme  alla sorella Maria e al fratello prelato Georg, direttore dei ‘pueri cantores’ nella cattedrale di Ratisbona, città dove il cardinale passava a trascorrere qualche settimana di distensione estiva. Da Ratisbona giungevano in treno, e a piedi salivano dalla stazione al duomo con un programma che solitamente si ripeteva: sosta in duomo, pranzo nell’ex Palazzo dei Vescovi Principi, breve pausa per la siesta, poi il the e il ritorno.

Di solito i fratelli Ratzinger venivano a Frisinga nel giorno dell’Assunta, probabilmente perché in quella festa la messa delle 11 in duomo era solennizzata dall’esecuzione di una ‘Missa brevis’ di Mozart per organo e orchestra. Arrivavano mentre la celebrazione era già in atto, si ponevano (quasi nascosti per non disturbare) dietro un pilastro delle cinque navate del duomo. Poi ci si incontrava nel salottino della refezione, dove si stava insieme sia nell’oretta del pranzo come anche in quella del the.

La presenza del cardinale non metteva sussiego, anzi era una presenza condita di mitezza, che si dipanava in conversazioni serene, durante le quali emergevano per lo più ricordi del passato; talvolta scorrevano a volo d’uccello i nomi di presbiteri e vescovi che avevano operato alacremente nel territorio dell’archidiocesi. Assai raramente il discorso sconfinava agli anni della detenzione del prelato Höck a Dachau, come prigioniero politico. Più spesso ci si intratteneva su fatti di attualità.

A me il card. Ratzinger rivolgeva la parola usando la lingua italiana. Si mostrava interessato  conoscere la situazione del Seminario di Chioggia, il numero degli studenti di Teologia, la situazione religiosa nella Laguna veneta. Sembrava non essere entusiasta delle diocesi piccole. E io, che con il tempo ero venuto a conoscere qualche retroscena delle diocesi vaste della Germania, avevo buon gioco a presentare i vantaggi di una diocesi come quella di Chioggia, dove il vescovo può accostare direttamente i suoi sacerdoti senza difficoltà, e viceversa; diocesi, dove i fedeli annualmente possono avere tra loro il vescovo, non solo per l’amministrazione della cresima, ma anche per le feste patronali e – a richiesta dei parroci – pure in altre  circostanze particolari; diocesi, dov’è agile il coordinamento e più capillare il servizio pastorale.

Dopo la caduta del muro di Berlino, era sorta con sede a Frisinga una nuova istituzione caritativa  denominata ‘Renovabis’, una sorta di gemellaggio con i paesi dell’Europa dell’Est. E il card. Ratzinger gradiva di avere a tavola anche il direttore di tale istituzione, il gesuita padre Demut, per essere meglio informato sulle modalità e sui canali preferenziali di aiuto, sulle difficoltà di un lavoro di così vaste proporzioni.

Mentre si alternavano le portate in tavola, ovviamente fioccava più di qualche elogio a commento delle squisitezze che la cuoca Wetti Höck serviva in quel giorno. Il pranzo si chiudeva in genere con l’autografo che il cardinale gentilmente apponeva ad alcune cartoline di saluto: al vescovo di Chioggia, al rettore del Seminario vescovile e ai miei familiari. Gli era rimasto impresso il vescovo Sennen Corrà, non solo per la singolarità del nome, ma forse anche per qualche nota di natura teologica che il vescovo aveva sottoposto a lui, come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Nel 1992-93 al prelato Höck cominciava ad allentarsi la percezione del tempo e capitava che, dopo il the, lo stesso prelato intrattenesse ancora la piccola comitiva con ricordi su ricordi – perfino durante la traversata del cortile che consentiva agli ospiti l’uscita dal palazzo –, senza accorgersi appunto che i suoi ospiti sbirciavano l’orologio. Allora mi permettevo di rassicurarli sommessamente che a buon conto era pronta nel piazzale del Duomo una Fiat 600, con cui saremmo potuti arrivare alla stazione in tempo utile. E il cardinale regalava uno sguardo carico di compiacenza riconoscente.

Quando divenne papa, ebbi la gioia di rivederlo a Roma nell’aprile 2009, in occasione di un convegno dei Direttori diocesani degli Uffici Scuola, in cui era prevista anche l’udienza papale. Alla fine si passò a ossequiare personalmente papa Benedetto. Venuto il mio turno, il papa non mi riconobbe subito (d’altra parte ero in talare), ma dopo le prime battute dilatò lo sguardo a un sorriso straordinario. E’ il sorriso che affiora e mi accarezza l’anima, ogni qualvolta penso alle persone nobili incontrate e conosciute in Baviera.

mons. Giuliano Marangon