Il Pane del Creato

Verso cieli e terra nuova

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La notte fu piena di lampi ma il mattino era quieto e fresco come se il creato avesse voluto ripulirsi per offrirci il suo volto migliore. Parto con una macchinata di amici verso loasi di CaMello che nella nostra geografia del territorio non ha ancora collocazione precisa. Si sa che noi chioggiotti siamo un pogeocentrici e il mondo ci finisce fuori porta Santa Maria. Venire qui è un pouna sfida lanciatami da Luisella Siviero con cui sono entrato in rapporto per una osservazione del territorio della nostra diocesi nell’Ufficio Pastorale per il Tempo libero Turismo e Sport. La giornata diocesana ha per titolo Il Pane del Creato e vuole essere momento di richiamo nel mese della salvaguardia del creato voluto quest’anno da Papa Francesco.  È come se i nostri confini si ampliassero ad abbracciare un mondo più vasto, cieli e terra nuova. È una nuova geografia quella che ci viene presentata in questa radiosa giornata recuperata, che comprende queste terre strappate alla malaria, alla povertà, allinutilità. Proprio qui lopera delluomo si unisce e si armonizza con lopera di Dio. Dario, la nostra guida, ci conduce per un percorso nella sacca dove comprendiamo perché la laguna di Scardovari, come quella di Venezia, è una conservatrice e moltiplicatrice delle biodiversità. È tempo di ascolto, e il Vescovo ci conduce in questo esercizio mai abbastanza frequentato. ‘É come mangiare un buon pane, perché il creato è pane fragrante, da gustare attivamente’. Questo modo di consumare il pane mi riattiva memorie infantili, quando attorno al desco una decina e più di persone consumavano il pasto nella mia numerosa famiglia d’origine. Dopo la preghiera di benedizione, introdotta da papà Michele, si imponeva lo stile ‘sobrio, rispettoso dell’altro’. C’era l’abitudine di non consumare completamente le pietanze perché c’era sempre qualcuno che doveva o poteva arrivare. “Mangiare è allenarsi alla condivisione” incalza il Vescovo “a tavola ci sono anche gli altri e noi abbiamo ricevuto per dare. Per cui no allo spreco e alla voracità”. Quanto mi furono chiari questi limiti nella mensa di famiglia, in cui potevano inserirsi il nonno paterno o la nonna materna, lo zio Don Pietro, ma anche un nostro amico o un barbone raccattato all’ultimo da mio padre proprio la vigilia di Natale.  La voracità e lo spreco possono anche diventare la cifra del nostro rapporto con gli altri, nel senso che c’è un modo di consumare anche le relazioni che non si coltivano o si fagocitano. Vi sono note squisitamente psicologiche nell’assunzione del cibo e l’oralità è sempre in agguato come modalità di rapporto malato. “Alla stessa stregua c’è modo e modo di consumare, servirsi della natura…” Il vescovo ricorda il Giubileo come momento di riposo anche della terra. Noi siamo una diocesi che ha una terra benedetta tutt’attorno, una terra che confina con il mare, luogo del lavoro di tanti, ma anche una terra solcata da tre fiumi che ‘come un sistema nervoso la irrorano di vita’. E qui i toni del nostro Vescovo Giampaolo si fanno lirici come di uno che si sta innamorando di questa terra che gli è stata data in custodia, come di uno che gusta il pane fragrante del creato che gli è stato servito. Ci stupiamo a sentirlo noi che abbiamo avuto sempre davanti questo creato così carico di segni, noi che di albe radiose dal mare potremmo vederne ogni mattina e ai tramonti rosso fuoco in laguna ci siamo quasi assuefatti.  E’ la grande cattedrale del cosmo che ci è data perché la conserviamo, la consegnamo arricchita se possibile, come fu fatto dai nostri padri… E da essa può venire un dolce canto o un grido amaro. Un dolce canto perché noi avvertiamo che ‘la bellezza del creato ci fa bene’, un grido amaro perché questa bellezza può essere deturpata e generare distruzione e morte: il Vescovo ci ricorda le recenti tragedie della montagna, il ghiacciaio della Marmolada, il cuneo salino… e le ripetute alluvioni del Polesine. È per questo che siamo richiamati ad una ‘conversione ecologica’, che può far sorridere ammette il Vescovo, ma che indica un compito cui ciascuno è chiamato. Affiorano le problematiche di una umanità che non ha saputo ascoltare il grido del creato, che ha devastato per interesse la foresta amazzonica, che ha ammesso nuove forme di colonialismo e schiavitù per i più poveri della terra. E’ un ‘antropocentrismo dispotico’ ammonisce il Vescovo di chi si pone al centro non per servire ma per disporre egoisticamente dei doni che il buon Dio ha distribuito perché fossero per tutti. Ci mettiamo in ascolto della parola come poi faremo con il concerto delle ocarine, uno strumento povero che proviene dalla terra, argilla impastata e lavorata. Resta un piccolo segno di questo nostro passaggio nel cippo ligneo con una scritta dalla ‘Laudato sì’ che viene benedetto perché resti a monito per coloro che di qui passeranno: “La terra ci precede e ci è stata data come giardino da coltivare e custodire”. Mi colpisce anche, nel pomeriggio, la visita all’ idrovora, un capolavoro delle meccanica di fine ottocento. Mi fa dire quanto l’uomo possa essere grande e possa migliorare le sue condizioni di vita cambiando positivamente il suo ambiente.  “Pochi, sparsi, tetri e umidi casolari di canna fra le risaie, case senza finestre, la maggior parte ad un solo piano e non pavimentate” così era descritta la vita in quel territorio dallo stesso ingegner Antonio Zecchettin che curerà la bonifica dell’Isola di Ariano ai primi anni del 900. Qui c’è la visionarietà e il coraggio di un uomo che sa pensare in grande e sa vedere i vantaggi umani esistenziali di quegli enormi lavori di prosciugamento definitivo e completo dalle acque stagnanti fino alla cessazione delle malattie e dell’emigrazione. Che coraggio, che fede! Mi fa venire in mente, per certi versi, gli antichi scalpellini che cominciavano l’opera di costruzione di una cattedrale che non avrebbero vista finita e penso che un po’ di quell’impeto umano che fece costruire la grande macchina che funzionava a carbone con una ciminiera di sessanta metri d’altezza ci vorrebbe oggi per bonificare un’Italia piena di miasmi… Quell’ingegnere a me prima totalmente ignoto mi appare come un uomo desideroso di scoprire il significato di sé e della vita rispondendo alle provocazioni della realtà stessa, andando fino in fondo ad esse, rigenerando spazi che potevano diventare un bene per tutti. Ecco, la costruzione concreta di un bene comune in un creato come casa per tutti oggi sarebbe una novità assoluta, un grande programma sociale e politico.

Piergiorgio Bighin