Sguardo pastoralerdo

Liberazione e Risurrezione

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La domenica “in albis”, o dell’ottava di Pasqua, prende il nome in riferimento al gesto rituale che i neofiti battezzati nella notte di Pasqua compivano deponendo la veste bianca ricevuta con il battesimo. Liberati dal peccato ed entrati nella vita nuova del Cristo Risorto smettevano di indossare il segno della grazia ricevuta per riprendere le vesti della quotidianità come persone nuove. Ciò che la veste bianca indicava esteriormente dovevano viverlo e testimoniarlo nella quotidianità della vita.

Nel battesimo noi viviamo i doni della vita liberata dal peccato e la nostra appartenenza a Cristo ci pone nella storia quotidiana in modo diverso: le nostre radici sono in Lui e ciò comporta la nostra estraneità alla logica mondana. Ce ne accorgiamo molto di più ora, che in un passato recente, proprio perché siamo tornati ad essere minoranza e la nostra fede a Cristo ci distingue dagli altri e ci fa sentire diversi dalla maggioranza, a volte fino al punto di sentirsi “sbagliati”.

L’esperienza della liberazione dai lacci del peccato ci apre ad un nuovo modo di porsi nel mondo perché la nostra prospettiva ha acquistato la dimensione verticale, cioè il nostro sguardo è puntato lassù; rimaniamo nel mondo ma non siamo del mondo.

Questo mi fa pensare al dramma della guerra in Ucraina e alle opposte reazioni del mondo cristiano: da una parte la ferma condanna della guerra, dall’altra la giustificazione della guerra come strumento di difesa da un occidente secolarizzato e senza valori morali.

Come è possibile una lettura così diversa, e opposta, dello stesso dramma e dei mezzi inumani che l’hanno innescato e lo stanno perpetrando?

Il motivo per cui non ci capacitiamo del fatto che stiamo assistendo ad una guerra in Europa, il continente dei diritti civili e dalle radici cristiane, è il modello civile di convivenza basato su dei valori condivisi e irrinunciabili. Il percorso che ci ha portati allo stato di diritto attuale è stato bagnato anche dal sangue della guerra, ed è proprio la memoria di quell’orrore che ci ha portato a fissare alcuni valori e diritti come inalienabili. La cultura cristiana ha senza dubbio dato il suo contributo fondamentale a questo passaggio.

Ma diventa possibile il contrario se le radici etniche, culturali, prevalgono sulla novità del vangelo e della vita nella grazia divina, cioè se l’uomo depone la veste battesimale perché la ritiene dismessa o un retaggio culturale di cui liberarsi. Il segno esteriore non dice più il cambiamento interiore e dal di dentro del cuore dell’uomo «escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7,21-23).

In questi giorni, faremo memoria anche della ricorrenza civile della liberazione, il 25 aprile, dell’Italia dal nazifascismo. Una ricorrenza che segna l’inizio della ricostruzione civile e morale del nostro paese e non possiamo dimenticare come la nostra costituzione e lo stato di diritto del paese siano impregnati di quei valori che allora furono ritenuti inalienabili. Sia un’occasione per riflettere nuovamente cosa significa essere cittadini e cristiani, uomini e donne coinvolti in una testimonianza di vita non contradditoria.

Don Simone Zocca

Delegato della pastorale