Sguardo pastorale

Chiesa: casa di tutti?

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Continuiamo il nostro ascolto con la “voce di tutti” e raccogliamo le idee emerse ed espresse attorno ad un secondo nucleo di domande, così formulate: La Chiesa riesce ad essere la “casa di tutti” o non può esserlo? Perché? Chi viene lasciato ai margini del cammino della Chiesa e perché? Quali ostacoli impediscono alla Chiesa di “camminare insieme” e di “camminare insieme con tutti”?

In linea di principio si riconosce che la Chiesa può, anzi deve, essere la casa di tutti proprio in forza di Colui che l’ha fondata e della missione che ha ricevuto, ma a causa dei limiti umani questo ideale può essere tradito o per le fragilità e il peccato o per i pregiudizi verso alcune categorie di persone. I suoi interventi caritativi e assistenziali rappresentano il modo più concreto e vero che la Chiesa ha di preoccuparsi di tutti.

Questo però non basta per restituire l’immagine di una Chiesa che sia effettivamente “casa di tutti”. Da una parte c’è chi non la sente e non la sentirà casa propria perché si è allontanato non solo fisicamente ma anche culturalmente, in forza di quella separazione tra la Chiesa e la Società a cui abbiamo già accennato l’altra volta, per cui non si capisce l’utilità della vita sacramentale e della Chiesa come istituzione. Chi non si riconosce in toto su quanto la Chiesa afferma e insegna, rimane in qualche modo escluso e per un’amplissima fascia lo sono i giovani che per qualche motivo si sono allontanati da essa.

Altri non sentono propria questa Casa perché non sono stati accolti o perché in uno status di vita ritenuto “irregolare” quindi non consono, come i divorziati risposati, o perché non ne condividono allo stesso modo tutti i valori; spesso queste persone sono oggetto di giudizio e non di misericordia. Si rimprovera alla Chiesa, in questi casi, di pensare di avere la verità in tasca. In questo modo la Chiesa anziché aprirsi si chiude in se stessa non trovando una strada per rinnovarsi e accogliere veramente tutti (l’omosessualità è percepita, ad esempio, come una questione sulla quale la Chiesa rimane chiusa).

La contro testimonianza di alcuni cristiani più attenti ad offrire dei servizi che ad avere a cuore la vita e il bene delle altre persone, oppure i gruppi di fedeli che rimangono chiusi in se stessi, l’incapacità di ascolto o di dialogo si aggiungono agli ostacoli che già ci sono e quindi non è possibile che tutti camminino insieme.

Un problema insito è senza dubbio il clericalismo che si manifesta nella rigidità di alcuni sacerdoti o nel ritualismo fine a se stesso, ma anche quando emerge in qualsiasi altra forma di protagonismo, quindi anche di fedeli laici. L’ago della bilancia sembra propendere ancora dalla parte del clero che esercita un peso maggiore nella conduzione della vita ecclesiale, e non sempre questa pretesa di fondo corrisponde ad un impegno reale del sacerdote. Manca ancora un laicato capace di sentire il proprio posto come tale e di condividere delle responsabilità più importanti a livello generale.

Don Simone Zocca

Delegato della Pastorale