Riflettendo sul vangelo - Domenica del Corpus Domini

Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue.

Vangelo di Marco 14,12-16.22-26

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Celebriamo in questa domenica la solennità del Corpus Domini (Corpo e Sangue di Cristo) che ci fa prendere coscienza, ancora una volta, della grandezza dell’Eucaristia, ravvivando in noi la fede, lo stupore e la gratitudine di fronte a questo immenso dono: infatti sotto il segno del pane e del vino, Gesù è presente con il suo Corpo e il suo Sangue.

Il Vangelo di domenica scorsa si concludeva con questa espressione: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 20, 20).

Gesù mantiene la promessa e ce lo dice proprio la liturgia di questa domenica che ci ricorda che la presenza del Signore nell’Eucaristia non è immaginaria, simbolica, ma reale, concreta e vera.

Il Vangelo, racconta l’ultima Cena di Gesù con i suoi: non si tratta solo della consumazione comune di un pasto, di una cena fraterna tra amici, ma dell’ultimo Convito della Pasqua ebraica che Gesù era solito celebrare con i suoi. In questa occasione Cristo offre sé stesso come sacrificio, consegnando alla Chiesa il compito di attualizzarlo nella storia futura. Attraverso questo sacramento, Gesù si rende presente in mezzo a noi, anzi, viene persino dentro di noi per unirci a sé e darci la sua vita divina: “Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio” (vv. 22-25).

Gesù usa un imperativo d’amore: non dice se vuoi, se ti capita, se non hai niente da fare, ma “prendete e mangiateprendete e bevetene tutti”. Lo dice perché ci ama troppo, desidera ardentemente venire in noi, attraverso i segni piccoli e umili del pane e del vino, per farci partecipi della sua stessa vita e perché non ci vuole perdere: staccati da lui, senza la vita di Dio in noi, non possiamo realizzare noi stessi. Ecco perché non possiamo ridurre la nostra partecipazione all’Eucaristia, in particolare nel Giorno del Signore, ad un semplice gesto di culto. La tentazione di  tanti credenti è quella di impoverire l’esigenza fondamentale della nostra fede nella formalità di un rito, dei gesti e delle parole immutabili. In questo modo noi rendiamo innocuo, inutile e noioso un momento forte e centrale della vita cristiana, che dovrebbe invece diventare la forza, il sostegno e il sostentamento del nostro cammino. Con quale senso di gratitudine e di gioia dovremmo, allora, accostarci a questo sacramento, ed essere pienamente consapevoli che Gesù è in noi e che la sua vita è diventata la nostra vita!

Celebrare solennemente la festa dell’Eucaristia in questa domenica ci aiuta a comprendere più e meglio che nella celebrazione della Messa siamo continuamente invitati al banchetto nel quale ci nutriamo del Pane di vita così da venire trasformati, a poco a poco, in ciò che riceviamo.

Comprendiamo come, ad Abitene, durante i primi secoli cristiani, alcune persone scoperte a celebrare l’Eucarestia, di fronte al Governatore romano, indulgente, che prometteva loro di avere salva la vita, a patto di non ritrovarsi più, risposero: “Non possiamo fare a meno di celebrare il Giorno del Signore”, e si lasciarono uccidere.

Senza l’Eucaristia, i primi cristiani non riuscivano a vivere. Mica esageravano!

Che essa diventi anche per noi il centro, il momento privilegiato della nostra vita cristiana, perché cosa stupenda e ineffabile: il pane degli angeli diventa pane degli uomini.

Don Danilo Marin