Riflettendo sul vangelo - Domenica quinta di Pasqua - Anno B

Attaccàti a Gesù, come i tralci alla vite

Vangelo di Giovanni 15, 1-8

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Domenica scorsa Gesù si è presentato nel Vangelo come buon Pastore che fa vita di comunione con il suo gregge. Oggi si presenta come la vite strettamente unita con i tralci, che sono una cosa sola con Lui e che in Lui devono necessariamente essere innestati per poter essere fecondi.

Nel Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua Gesù dice di sè: “Io sono la vite vera”. L’evangelista Giovanni riprende, così, l’immagine della vite che era un’immagine ben conosciuta nel mondo ebraico; diversi passi, infatti, dell’Antico Testamento presentano Israele come la vigna di Dio (Is 5,1-5, Sal 80, Ez 19,10).

L’immagine della vite non solo parla di Gesù, ma ci costringe anche a riflettere su noi stessi e sulla relazione che abbiamo con Lui. Non si tratta di mantenere una qualche o buona relazione con Gesù quanto piuttosto entrare in Lui e permettere che Lui entri nella nostra vita per realizzare una vera e propria comunione.

Il passaggio dalla vite alla vita è ben chiaro.

Il grande invito che ci fa il Signore è di rimanere in Lui: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me”.  “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” (vv. 4-6): è solo rimanendo in Lui che si porta frutto! Staccati da Lui, si possono anche fare cose portentose e avere successi strepitosi, ma si è come il ramo secco che viene buttato via e poi bruciato nel fuoco.

L’invito del Signore è categorico: “Rimanete in me e io in voi” (v. 4a).

Il verbo rimanere in questo brano del vangelo ricorre per ben sette volte. E’ evidente che si tratta di un invito a un modo di vivere molto importante e Gesù stesso si incarica di spiegarcelo. Se infatti un tralcio non rimanesse nella vite, non potrebbe assolvere al compito per cui esiste: portare/produrre frutto.

I tralci sono le persone che credono in Gesù, e vivono una relazione con Lui. Proprio questa relazione ci permette di ricevere la vita, cioè un certo modo di esistere.

Come si fa a rimanere uniti a Gesù? Cosa ci unisce maggiormente e cosa invece ci porta a staccarci a Lui?

Siamo già innestati con il Battesimo in Lui, ma questa vita nuova deve continuamente sbocciare, fiorire e dar frutto. Solo restando ancorati a Lui si possono portare frutti, crescere, fiorire. Senza di lui, niente. Gesù ci chiede di dimorare, rimanere, stare. Non come frequentatori casuali, ma come assidui frequentatori della sua Parola e capaci di tradurre nella vita quell’amore con cui siamo amati.

Stare nella vite, rimanere uniti a Gesù comporta anche un’altra operazione che ogni esperto viticultore deve  mettere in conto, il compito della potatura“Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto” (v. 2). Potare la vite non significa amputare, bensì togliere il superfluo e dare forza; ha lo scopo di eliminare il vecchio e far nascere il nuovo. Questo, qualsiasi contadino lo sa: la potatura è un dono per la pianta. Così Dio ci lavora, con un solo obiettivo: la fioritura di tutto ciò che di più bello e promettente è presente in noi. I verbi tagliare e potare descrivono le attività del vignaiolo che condizionano la fecondità della pianta. L’immagine, infine, del potare ci aiuta a riconsiderare anche ogni piccola o grande sofferenza che la vita ci mette dinnanzi. Una cosa è certa: se la sofferenza la viviamo rimanendo attaccati alla vite, essa porta frutto. La sofferenza fine a se stessa resterà chiusa, senza risposta e sarà segno che saremo diventati tralci secchi, morti e destinati ad essere gettati via.

Dimoriamo con fiducia in Lui, non andiamo ad abitare altrove, restiamo con gioia accanto al Maestro. Senza di me non potete fare nulla, ci ripete oggi Gesù. Cerchiamo il senso vero della nostra vita? Cerchiamolo in Dio, viviamolo in lui, standogli uniti, incollati, come il tralcio alla vite, perché la linfa vitale proviene da Lui e da Lui solo.

Don Danilo Marin