Giornata delle comunicazioni sociali

Il nostro mestiere evangelico: “Vieni e vedi”

Andrea Tornielli, dal 2018 direttore editoriale dei media vaticani commenta il messaggio del Papa

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“Vieni e vedi” è il titolo del messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali del 2021, che Andrea Tornielli, originario di Chioggia, giornalista e dal dicembre 2018 direttore editoriale dei media vaticani, ha commentato in videoconferenza in un recente incontro con i giornalisti organizzato dal settimanale diocesano di Vittorio Veneto “L’Azione”. Il messaggio – ha affermato Tornielli – è «un invito a riscoprire il nostro mestiere: l’evangelico “vieni e vedi” ci chiede di uscire dal già saputo per andare a vedere e conoscere le persone».

 

Il messaggio del Papa sembra un manuale di giornalismo. Chiede occhi nuovi per vedere tutta la realtà. Come giornalisti a volte siamo selettivi e vediamo solo una parte della realtà.

«Bisogna saper trovare le perle di Vangelo, come dice il vaticanista Luigi Accattoli che ha scritto un libro intitolato “Cerco fatti di vangelo”. Come giornalisti possiamo suscitare indignazione ma dovremmo cercare sempre di non giudicare, di non metterci sul piedistallo del giudice, non salire in cattedra… Una responsabilità grandissima! Anche quando si parla degli scandali nella Chiesa, bisognerebbe far percepire che una ferita della Chiesa è anche una ferita nostra. Puoi scegliere che cosa dire e cosa non dire. Non si deve essere giudici della realtà che raccontiamo».

Non trarre conclusioni affrettate, prenderci il tempo per capire. Spesso si rischia di non fare né questo né quello, per la velocità dei tempi. Lo stress ci può fuorviare…

«Il rischio delle conclusioni affrettate c’è. Un tempo non era così. Quando seguivo i viaggi papali, potevo prendermi il tempo di sentire le persone nei luoghi in cui il Papa andava. C’era il tempo di vedere ed annusare l’aria, di parlare, di conoscere. Oggi abbiamo una serie di impegni che prima non c’erano: i social, ad esempio. Si rischia di approfondire di meno, di non fermarsi ad osservare. Ai miei collaboratori dico sempre: “Dovete essere tempestivi e completi”. Ma puoi arrivare dopo gli altri, se hai un taglio diverso. L’importante, per un settimanale, è approfondire. Ad esempio posso cercare di far capire il contesto, offrire elementi per valutare i contesti di una notizia e di un fatto».

Quali consigli per i settimanali diocesani?

«C’è bisogno di uno sforzo educativo. Le generazioni più giovani hanno un bagaglio tecnico considerevole per quanto riguarda la comunicazione, ma dobbiamo aiutarli ad avvicinarsi al giornalismo con lo sguardo di chi sa cogliere il bello e il buono nella realtà, appassionandosi all’umano. Bisogna andare e raccontare, come dice il Papa. Il giornalismo cattolico in Italia rischia talvolta di avere linguaggi autoreferenziali. Bisogna fare la fatica di non dare niente per scontato: parlare semplice e raccontare pezzi di vita. Non è sempre facile essere meno “istituzionali”. In questo non c’è differenza tra giornale piccolo o grande: oggi ciò che davvero comunica è la forza di una testimonianza, di una storia. Un dramma o una cosa bella: quello è il linguaggio universale. Di fronte a un testimone, anche se non sei d’accordo e hai un punto di vista diverso, uno si arrende».

Quali obiettivi, come direttore editoriale dei media vaticani?

«Dopo anni di riforma 11 realtà diverse sono confluite in un unico dicastero. Il tentativo che facciamo non è solo quello di raccontare bene il Papa e la Santa sede, ma mettere in circolazione – da tutto il mondo – delle storie: come la parola del Papa vive e cresce nelle esperienze delle persone, anche nelle regioni più lontane? Cerchiamo di dare spazio alle storie da tutte le parti del mondo. Questi i numeri dei media vaticani: 240 redattori, 69 Paesi, 41 lingue… Tentiamo di essere un cuore pulsante che trasmette il messaggio del Papa, ma anche riceve e ritrasmette le storie di fede vissuta provenienti da ogni parte del mondo».

C’è una virulenza – anche in casa cattolica – contro il Papa… Si devono ignorare queste polemiche?

«Il Papa tende generalmente a non rispondere a certe polemiche pretestuose, e a non far rispondere i suoi media. Penso all’agosto del 2018: durante il viaggio di ritorno dall’Irlanda, interpellato sul documento dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò che lo accusava di aver coperto il cardinale Theodore McCarrick riconosciuto colpevole di abusi, il Papa scelse di non intervenire, chiedendo ai giornalisti di fare il loro lavoro. Il risultato? Le accuse di Viganò si sono dimostrate pretestuose e infondate, la Santa Sede ha pubblicato un corposo dossier con una documentazione inoppugnabile sul caso con un grande sforzo di trasparenza che non ha precedenti. Il rischio è ridurre la realtà a slogan. Ci sono accuse pensate per mettere con le spalle al muro il Papa. Talvolta c’è da restarne fuori perché è difficile rispondere agli slogan. Bisogna poi avere uno sguardo che ricordi la storia: quanto fu attaccato Paolo VI con l’Humanae Vitae? E che dire delle accuse dei media contro Giovanni Paolo II o degli attacchi contro Papa Ratzinger? Oggi la novità rispetto al passato sono i social media, che creano vere e proprie bolle autoreferenziali sul web. Se uno guarda solo web e social, sembra che certe accuse e polemiche facciano molto più breccia.

Ma in realtà le cose sono ben diverse. Per me è utile cercare di capire perché il Papa insiste su un tema, per cercare di sintonizzarsi con lui e comprendere che cosa Dio, che lo ha scelto, voglia dire a me, alla mia vita, attraverso le sue parole e il suo magistero.

Che cosa vuol dire, a me, quando parla – ad esempio – dei migranti? Tanti di questi dibattiti contro il Papa rendono evidente una certa ignoranza: non si conoscono i Padri della Chiesa o la Dottrina Sociale. In questi decenni si è sfrangiata una certa cultura cattolica che aiutava a capire il contesto e quindi anche a collocare le affermazioni del Papa sulla scia dei predecessori».

E i social?

«Prima di mettere sui social notizie che riguardano il Papa, bisogna essere certi che siano fondate. I tweet ad esempio sono come dei proiettili che una volta “sparati” non tornano più indietro. Però bisogna usarli, bisogna esserci. Nel 2020 Radio Vaticana – Vatican News e L’Osservatore Romano hanno prodotto 30 mila contenuti su twitter totalizzando 2 miliardi e 250 milioni di visualizzazioni».

Alessio Magoga