sguardo pastorale

In tempo di Covid-19

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Credo sia capitato a tutti noi di leggere qualche articolo o di vedere qualche video sul fenomeno straordinario che in questo tempo di quarantena ha portato la natura a riappropriarsi degli spazi delle nostre città o dei nostri mari o della laguna. Con la limitazione degli spostamenti dell’uomo è calato l’inquinamento nelle grandi città e nella nostra pianura, con l’isolamento delle persone in casa fauna e flora hanno preso terreno fra le strade dei nostri paesi. Questo mi ha fatto pensare a quanto sia invadente la presenza dell’uomo nell’ambiente che vive e quanto poco sappiamo integrarci nell’ambiente che ci circonda, preferendo costruire delle sovrastrutture che adattino l’ambiente a noi anche a scapito della salute del pianeta.

Mi è venuto spontaneo fare un paragone fra l’ambiente della natura e l’ambiente della fede, notando che questo tempo ci pone di fronte non solo a degli stop cultuali, pastorali e relazionali. ma anche ad alcuni elementi che dicono lo stato d’inquinamento di una fede seduta e attaccata alle forme esteriori e non all’essenza del Vangelo e di ciò che è la Chiesa in missione. Come tutti, mi sono ritrovato spiazzato di fronte a questa emergenza e alle restrizioni imposte: sia come uomo che come prete e intendo riferirmi alla difficoltà di mettere uno stop alle mie abitudini e ai miei riferimenti affettivi familiari e amicali, così come all’idea impensabile di non poter celebrare la liturgia con libertà e serenità. Tutti conveniamo sul fatto che una vita virtuale non è vita, così non lo sono le relazioni virtuali o addirittura le celebrazioni.

È necessario riprendere la vita della comunità per due motivi: per ridare l’essenziale alla nostra esperienza di fede che passa attraverso la relazione in persona e per evitare derive gnostiche. Ma come riprenderla? Semplicemente tornando a fare quello che facevamo prima? Sono convinto che la vita della comunità cristiana non tornerà come prima, almeno nell’immediato, dovendo convivere con alcune stringenti condizioni.

Questo periodo però ci ha fatto capire come sia necessario rafforzare ciò che è essenziale all’esperienza cristiana della vita: la conoscenza personale e il rapporto con la Parola di Dio, la dimensione della preghiera (anche attraverso la liturgia delle ore, oltre che con le preghiere tradizionali e di pietà popolare), lo slancio nella carità e nella solidarietà.

Questi aspetti li penso come premessa a ciò che poi può trasformarsi anche in processi educativi alla vita di fede e sacramentale, processi che dovremo ripensare anche con l’aiuto di quegli strumenti di comunicazione che in questo periodo abbiamo ricercato per tentare di supplire all’impossibilita di incontrarci di persona.  Ma, a parte le strategie attraverso le quali sapremo rimetterci in gioco, sarà importante e maturo partire dalla risposta a questa domanda: quali comunità cristiane ritroveremo alla ripresa di una certa normalità? Forse saremo ancor di più minoranza in una società preoccupata da tutt’altro che la fede, ma non potremo non essere più autentici, convertendoci da quelle sovrastrutture fideistiche che hanno inquinato la bellezza dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo.

don Simone Zocca