Messaggio del vescovo

Perché il Seminario torni a vivere

Oggi la Giornata per il Seminario diocesano 2020. 

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La nostra Diocesi di Chioggia, circa 115.000 abitanti suddivisi in 68 parrocchie, ha l’edificio del Seminario, ma non ha un ‘Seminario’ cioè un gruppo di ragazzi/giovani/adulti residenziali che si preparano per il ministero presbiterale, cioè si preparano a offrirsi come preti a servizio delle nostre comunità parrocchiali e all’intera Chiesa diocesana. Non mancano persone e iniziative che si impegnano a sensibilizzare, con proposte di preghiera e di incontri, a rispondere alla chiamata del Signore. Penso che ormai ci sia bisogno anche di ascoltare la chiamata delle nostre comunità che rischiano di essere scarsamente accompagnate da qualche prete. 

Ritengo sia giunto il momento in cui le nostre stesse comunità debbano interrogarsi insieme con i loro preti che ancora ci sono, se sono interessate a costruirsi attorno alla fede, cioè alla Parola di Dio, alla Preghiera, ai Sacramenti e alla pratica dell’amore al proprio interno, con particolare attenzione a chi più si trova in qualsiasi bisogno (Carità). Anche il prete deve avere il coraggio di chiedersi quale prete potrà rispondere alla nuova situazione, che richiede da una parte la continuità del suo ‘antico’ servizio, ma anche la novità che lo Spirito Santo, di questi tempi, sembra suggerire. Certo il riferimento vocazionale dice riferimento a Gesù Cristo. Ma a quale immagine di Gesù Cristo ci riferiamo? Una immagine ingessata dai secoli o quella del Gesù dei Vangeli che lungo i secoli ha offerto, attraverso la Chiesa, grandi servitori dell’umanità, modelli di vita di amore e di dedizione, modelli di gioia e di speranza, modelli di sacrificio per il bene degli uomini, a immagine del loro Maestro, Gesù di Nazaret, durante la sua vita terrena, fino al momento finale del dono di sé nella Croce? Noi sacerdoti, nelle parrocchie, offriamoci con la nostra vita, la nostra gioia, la nostra preghiera, la nostra fede, il nostro spirito di servizio e di comunione con tutti, modelli di vita significativa per i nostri ragazzi e giovani. E le nostre comunità devono rendersi conto, prima che sia troppo tardi, che lasciare il prete solo significa fare morire le comunità stesse, dal punto di vista della fede. Anche il prete deve rendersi conto che rinchiudendosi o avocando tutto a sé finisce per trovarsi sempre più solo, relegato ad alcune funzioni o servizi, isolato poi da tutto il resto della vita delle comunità. Ritengo che ci siano anche oggi giovani che ascoltano l’appello di amore di Cristo congiuntamente all’appello delle Comunità che nella preghiera chiedono al Signore e anche agli stessi giovani la disponibilità di farsi servitori della fede loro e dei loro figli. Abbiamo poi anche bisogno di prendere consapevolezza della presenza qualificata della donna nella Chiesa, dalla quale anche il prete ha molto da ricevere e imparare, non come qualcosa da temere ma da augurarsi per una Chiesa più evangelica. Amare la Chiesa come Gesù l’ha amata significa mettere tutto se stessi a servizio dell’intero popolo di Dio, perché idealmente tutti diventino discepoli del Signore, sentendosi amati da Lui, illuminati dalla sua Parola, sostenuti dal suo Spirito, figli dell’unico Padre. 

Concludo con due piccoli ma significativi ricordi. Un padre gesuita era passato per casa quando ero ancora ragazzo delle elementari. Mi ha parlato per un po’ e poi ci siamo lasciati. Ma mi ha lasciato con una domanda. Circa un mese dopo, visto che l’avevo ascoltato con un certo interesse, è ripassato e mi ha chiesto: in questo mese, di notte, quante persone hai sentito chiederti ‘vieni da noi’? Voleva cioè sapere se ero interessato a mettere la mia vita a disposizione degli altri, come criterio di discernimento vocazionale. Da diacono poi ho prestato servizio in una parrocchia della periferia di Vicenza, territorio allora in grande sviluppo. Il parroco, un po’ avanzato in età, aveva visto la sua parrocchia crescere continuamente di case e di popolazione. Gli ho chiesto come ha fatto a ‘tenere le fila’ di tutta quella popolazione. Mi ha risposto: ‘Sai quante paia di scarpe ho consumato io camminando per tutto questo territorio per conoscere e incontrare la gente? E questo non mi ha privato del tempo di pregare, di seguire la costruzione della nuova chiesa perché quella di prima non bastava più, e mi dava la gioia di sentire che la mia vita era bene spesa per la gente e per il Signore. 

“Manda, Signore, operai per la tua messe”! Forse oggi dobbiamo chiedere: ‘Manda seminatori della tua parola, annunciatori della tua Grazia, operatori del tuo amore gratuito’. Mi pare in crisi il modello dei ‘funzionari distributori della grazia’! Ci sarà ancora chi nelle nostre comunità sarà disposto a offrirsi a servizio della fede genuina e vitale tra le nostre comunità? Lo speriamo e per questo preghiamo. Allora il nostro seminario ritornerà a rivivere. 

+ Adriano Tessarollo