Basta mettersi in ascolto di qualche notiziario o aprire facebook che non manca di incorrere in qualche notizia e post che si pronunci contro questo o quell’altro aspetto della Chiesa; non mi riferisco ai deplorevoli episodi che denunciano le malefatte del singolo (prete, religioso, laico) ma, anche e soprattutto, a tutte quelle discussioni che nascono in seno alla Chiesa stessa, rispetto alle quali i media cercano sempre di lanciare la notizia sensazionale amplificando magari aspetti solo marginali o le opinioni di singoli prelati o pettegoli: a volte ci troviamo di fronte a dei veri e propri “dissennatori” che seminano allarmismo e disorientamento. Senza dubbio l’uso distorto dei mezzi d’informazione e delle notizie è frutto di un tempo come il nostro nel quale è importante solo farsi dei followers, a scapito della verità, e non diventare discepoli della Verità.
C’è da rimanere senza parole di fronte ad una tale sete di menzogna, e ad una sfacciata e arrogante ignoranza, prodotte solo per autoalimentarsi. Verrebbe anche voglia di chiudersi in se stessi di fronte a queste finestre sul mondo, che non mostrano speranza. La stessa reazione ci assale quando siamo posti di fronte a degli insuccessi personali o vediamo vanificati i nostri sforzi o svalutate le nostre intuizioni. È la tentazione di cedere alla sindrome della “cittadella assediata”: quando ci si trova di fronte a degli attacchi, l’istinto ci porta a ripararci nei luoghi abitati dalle nostre sicurezze. Questa sindrome è latente in tutti e si manifesta di fronte al pericolo, al cambiamento; si alimenta dell’abitudinarietà, della presunzione delle formule pastorali adatte a ogni tempo, degli stereotipi.
Si tratta di una tentazione perché innanzitutto l’insicurezza che proviamo vuole minare le nostre motivazioni interiori e spirituali, fa vacillare la nostra fiducia sulla fecondità dell’azione dello Spirito Santo, incrina il rapporto con la comunione ecclesiale. Si tratta anche di una sindrome, e quindi di una malattia pastorale, perché siamo indotti a rimanere arroccati su noi stessi, a rapportarci con il mondo come fosse il nemico, a crearci una comunità cristiana ed ecclesiale a nostra immagine.
Non siamo però degli assediati ma degli inviati: questa è la natura della Chiesa e dei discepoli di Cristo. La novità del Vangelo e la libertà che Cristo restituisce all’umanità sono da sempre invise al mondo perché costituiscono il seme della Vita nuova non più soggetta al peccato, ma presto diventano le radici di un’azione pastorale che porta la passione viva perché ciò si realizzi concretamente, superando le difficoltà insite a questa missione.
Rinunciare ad essere appassionati del Vangelo per timore del confronto o perché gli sforzi richiesti sembrano superare le nostre forze, o ci viene chiesto di rimodulare i nostri progetti, significa sotterrare il proprio talento ed essere dei perdenti in partenza. Se non siamo incoraggiati a proseguire sul nostro cammino per il fatto che non vediamo nascere dei frutti, dovremmo sentirci spronati a guardare avanti solo per la speranza insita nel gesto della semina: seminare con abbondanza e ovunque porterà anche a qualche frutto. A noi innanzitutto è affidato questo dal padrone del campo cui spetterà raccogliere e giudicare.
don Simone Zocca