SGUARDO PASTORALE

Parola, opere e testimonianza

In-Ascolto
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“Ritornare a Lui con tutto il cuore”, così ci siamo lasciati la scorsa settimana, indicando la motivazione di fondo che ci sospinge lungo un tempo, quello della Quaresima, di penitenza. È il motivo che ci spinge all’inizio ma perché rappresenta anche la meta dei nostri sforzi, cioè il frutto di questa esperienza. Il risultato però non è garantito e tanto meno ottenuto in modo meccanico eseguendo delle istruzioni precise: il tempo di quaresima è il momento opportuno perché la nostra vita abbia una svolta, cioè una conversione, un vero e proprio cambio di rotta, oppure perché possa ricentrarsi su ciò che è essenziale, quindi sarà occasione di discernimento su ciò che viviamo per viverlo in maniera più proficua e autentica, oppure non sarà niente di questo. Alla fine, infatti, non dovremo fare la conta o la spunta di quello che abbiamo fatto o meno per vedere se siamo stati più bravi dell’anno precedente, ma dovremo dirci con parresia, quindi con coraggio e verità, se abbiamo modificato o meno sentimenti, atteggiamenti, scelte e se ci siamo spinti a prendere in mano con decisione le nostre responsabilità in termini di testimonianza e annuncio.

Digiuno, astinenza e opere di pietà (così come la preghiera “tanto per…” o la carità che aggiusta la coscienza) non hanno senso prese per sé stesse, ma solo se riferite a Colui che vogliamo come il centro della nostra vita; tanto meno hanno efficacia se non ci aiutano a dare forma (la forma di Cristo, uomo nuovo) alla nostra interiorità. Digiuno, astinenza, opere di pietà e di carità non possono essere relegate quindi ad un tempo (solo in quaresima) ma, seppur in forme diverse, devono esserci sempre nella nostra vita. Faccio solo un esempio semplice: nell’omelia del Mercoledì delle Ceneri, all’assemblea che mi ascoltava suggerivo una sorta di digiuno delle parole che ci possono distrarre e che, al mattino, ci sforzassimo per lasciare spazio prima alle parole della nostra preghiera al Signore e solo dopo alla musica nelle cuffiette. Se ci limitassimo a farlo solo per la quaresima, come un fioretto, presto perderemmo i benefici interiori ottenuti. A cosa sarebbe servito? Ciò che allora ci è “comandato” in questo tempo, e anche con una certa precisione e chiarezza di parole e idee, dovrebbe portarci a tastare la nostra interiorità, cioè a prendere contatto con noi stessi per scoprire Dio per quello che è per noi.

Per questo periodo è “comandato” anche che non si trascuri, da parte dei presbiteri, di tenere l’omelia in quelle Messe feriali in cui si ha un sufficiente concorso di popolo (così anche per il tempo di avvento o in qualche festa o in occasione del lutto, recita il can. 767 § 3). È una disposizione data nella trattazione del tema più ampio del rapporto tra l’omelia e la predicazione, che punta ad ampliare e garantire che la Parola di Dio proclamata nel contesto eucaristico sia adeguatamente compresa e fatta propria dai fedeli uditori. Le fonti canonistiche (e dobbiamo “andare” al Concilio di Trento), cui si rifà questa disposizione, che sostanzialmente riprende quella del c. 1346 del precedente codice, si basano su un criterio diverso da quello della maggiore o minore frequenza di fedeli: il criterio adottato è quello dell’opportunità o dell’utilità. Quando è utile o no spezzare la Parola per i fedeli o ascoltarla con maggiore frequenza e attenzione? Ciò che ne ricaviamo è chea il rapporto con la Parola di Dio deve essere centrale in questo tempo quaresimale perché è il tempo della vera opportunità per la nostra vita, il tempo in cui tenere ciò che è utile e lasciare ciò che non lo è. Ogni fedele cristiano deve giudicare opportuno e utile vivere con frequenza il rapporto con la Parola della Vita perché nessun atteggiamento sia più formale ma sia testimonianza di un tesoro che abita il proprio cuore.

 don Simone Zocca