SGUARDO PASTORALE

Cosa stai pensando?

Sguardo pastorale
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Riflettevo sulla pretesa dei social network che, quando li apri, per indurti a lasciare un messaggio ti chiedono: cosa stai pensando? È una domanda che generalmente non fai ad una persona quando la incontri, almeno che tu non abbia con lei un rapporto di familiarità. Il pensiero infatti affonda le sue radici nel profondo dell’animo, e manifestare il pensiero significa mettersi a nudo, in qualche modo consegnarsi. L’adulto generalmente si inventa qualcosa lì per lì, e si attarda semmai a descrivere pensieri e stati d’animo con post lunghi ed elaborati. L’adolescente invece condivide tutto con immagini, frasi brevi e dirette, superando ogni concetto di intimità e spazio privato, postando foto e video di quello che fa.

Spesso è per noia o per imitazione. È perché tutti lo considerano normale. È perché sente il bisogno di essere accettato dal gruppo dei coetanei e se si comporta diversamente ha paura di essere escluso.

È per un inconfessato bisogno di ricevere approvazioni attraverso i like. Una sfida tipica dell’adolescenza, poi, riguarda la costruzione della propria identità. I social network danno agli adolescenti la possibilità di costruire identità forti e indipendenti, che condividono attraverso i propri diari personali online. Identità e popolarità sono gli aspetti più importanti, che li fanno sentire più sicuri.

La rete in genere permette di vivere moltissime esperienze, anche a distanza, restando in un ambiente protetto; rende possibile anche creare una sorta di identità alternativa, magari diversa o addirittura opposta a quella reale, e aumentare così la propria autostima, proponendosi agli altri in un modo nuovo, mantenendo una “distanza di sicurezza”.

Non ci si guarda negli occhi, non ci si tocca, non si ascolta la voce dell’altro, ma si ha la sensazione di poter essere ciò che si vuole. Ora, mentre gli adulti continuano a vedere gli spazi virtuali e quelli reali come separati, le “identità digitali” della maggior parte dei giovani sono tutt’uno con la loro realtà personale. Per cui quello che vivono nel digitale ha ripercussioni immediate anche sul reale.

Quando nei social vengono isolati e messi alla berlina dal gruppo dei coetanei, le sicurezze crollano anche nella vita reale. Crisi esistenziali, depressioni, addirittura il suicidio sono conseguenze purtroppo constatate. I ragazzi, infatti, sono bravissimi a districarsi nel mondo digitale, vivono una vita sempre più social, perché hanno bisogno di mostrarsi e misurarsi online, ma nello stesso tempo non hanno sviluppato quella stabilità e quella sicurezza interiore che permette loro di difendersi dalle conseguenze di eventuali giudizi e critiche negative, così come di tenere una giusta distanza da esaltazioni indotte e inconsistenti. Pastoralmente tutto questo ha un suo peso.

La proposta educativa corre un doppio rischio, quello dell’insignificanza e quello dell’inconsistenza. L’inconsistenza è di una proposta che corre sui canali digitali senza mai sfociare nel mare della realtà. L’insignificanza invece può essere data dalla negazione “tout court” del ruolo che riveste il web nei giovani per la strutturazione della loro personalità.

Potrebbe sembrare banale ma per sapere davvero cosa pensa un giovane è necessario saperlo ascoltare senza formulare giudizi, dargli fiducia ma non cedere ai compromessi, diventare credibili per la rettitudine del comportamento, conoscerne il linguaggio e riempirlo di senso, innamorarlo di ciò che può farlo crescere e riempire la sua esistenza di autentica felicità. Il social lo fa per fini commerciali, l’educatore lo fa per amore della sua vita.

 don Francesco Zenna