Cari responsabili di questo ospedale, cari medici, infermieri, personale e soprattutto cari malati. Sono contento di iniziare in questo luogo il percorso che mi porterà oggi pomeriggio a iniziare il mio servizio di Vescovo in questa Diocesi.
Quando abbiamo pensato a questo giorno ho chiesto se c’era un’esperienza di carità da cui partire per testimoniare che la Chiesa e il Vescovo, come ha detto Gesù, hanno uno sguardo di predilezione per gli ultimi, i fragili, i poveri, i malati, i bisognosi. Mi è stato subito proposto questo luogo.
L’ospedale è un luogo sacro, incrocia la vita delle persone nei momenti più delicati della loro vita: la nascita, la sofferenza, la malattia e tante volte accompagna anche le persone quando la vita arriva al suo compimento terreno.
L’ospedale è soprattutto il luogo della fragilità. Quando entriamo in questa casa la vita ordinaria si ferma, il tempo diventa lunghissimo, le giornate non passano mai. Mi ha sempre colpito passare di sera o di notte accanto a un ospedale e vedere le luci sempre accese, come se il giorno e la notte qui avessero trame diverse.
Siamo fragili, siamo creature. Ma in questo luogo si celebra anche la fraternità umana, la solidarietà, la cura, la compassione. Una vera cattedrale della carità.
«Ero malato e siete venuti a visitarmi», afferma Gesù elencando i temi dell’esame finale, quando tutti ci troveremo davanti a Dio, giudice amorevole e pieno di misericordia.
Per chi crede, l’ospedale ci fa sperimentare una fede vacillante, dubbiosa, inquieta. Per chi non crede, in questo luogo sorgono delle domande inevitabili sul senso della vita.
Ma c’è soprattutto una parola che vorrei consegnarvi perché possa accompagnare i giorni della vostra degenza in questo luogo: la speranza.
Il poeta Charles Péguy paragona la fede, la speranza e la carità a tre sorelle: due adulte e una bambina piccina. Vanno per strada tenendosi per mano perché sono sorelle inseparabili; le due grandi ai lati, la bambina al centro. Tutti, vedendole, sono convinti che sono le due grandi – la fede e la carità – a trascinare la bambina speranza che è al centro. Si sbagliano: è la bambina speranza che trascina le altre due; se lei si ferma si ferma tutto. È proprio vero, sono i bambini che ci tirano perché vogliono andare da una parte o dall’altra, correre o fermarsi.
Péguy commenta così: «La fede è colei che tiene duro nei secoli dei secoli; la carità è colei che si dona nei secoli dei secoli. Ma la piccola speranza è colei che si leva ogni mattina».
Ecco l’augurio e la preghiera che in questo momento elevo al Padre per tutti voi che lavorate in questo luogo e soprattutto per voi malati.
Ogni mattina la piccola speranza vi faccia svegliare e alzare. Vi conduca, vi strattoni, vi faccia sorridere, vi doni fiducia nella guarigione, vi faccia sopportare la vostra condizione. E che presto possiate tornare alla vita di sempre, ma senza mai dimenticare i giorni passati in questo luogo che portano sofferenza ma sono anche una scuola dove si insegna la verità della nostra vita.
E per i medici, gli infermieri e tutto il personale invoco da Dio il dono di tanta carità, compassione, delicatezza, ascolto. Invoco quella parola tanto cara a papa Francesco: la tenerezza.
Vi benedico tutti e vi porto nel cuore, in attesa che terminata questa pandemia sia possibile entrare nei reparti e portare un segno di vicinanza e di affetto.
Nei corridoi, nelle vostre stanze, nel vostro cuore dimori questa bambina: la piccola speranza.
+ Giampaolo Dianin