XXV Domenica tempo ordinario Anno B

CHI E’ IL PRIMO

Vangelo di Marco 9, 30-37

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Oggi incontriamo Gesù in cammino, che ai discepoli parla della sua passione e morte.

Tutto il Vangelo di Marco può considerarsi un cammino dei discepoli con il Maestro. Nonostante la familiarità essi, però, restano molto lontani dal capirlo veramente e dal comprendere la sua missione.

Incredibile, ma vero! Lo seguono con i piedi, ma la testa è altrove. Sono ancora tributari della mentalità giudaica con la concezione politica del Messia che avrebbe fatto piazza pulita dei Romani per fare di Israele un regno libero e potente. La regalità che Gesù, invece, voleva instaurare,era esattamente l’opposto.

Mentre Gesù parla di passione, del dare la vita morendo in croce, i discepoli parlano tra loro chiedendosi chi sia il più grande. E quando Gesù, accortosi chiede di che cosa stessero parlando, tacciono, tanta era la vergogna.

Domenica scorsa avevamo ascoltato da Gesù il primo annuncio della passione, morte e risurrezione; oggi, di nuovo Egli parla della sua passione e morte. I discepoli continuano a non capire ma, forse, non volevano capire. Ecco perché temono di interrogarlo: chi vuol tenersi lontano da una cosa, se ne distanzia.

L’evangelista Marco, ottimo osservatore, riporta l’argomento del loro confabulare: “Per la strada avevano discusso tra loro chi fosse più grande”. Gesù parla di sofferenza, croce, morte; loro, invece, di potere, di chi doveva occupare il posto più prestigioso vicino a Gesù, chi doveva essere considerato e classificato primo.

Il Maestro non demorde e in casa, a Cafarnao, chiama a sé il gruppo dichiarando: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (v. 35). Per far capire questo, usa uno stratagemma. Prese “un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.

Gesù aveva posto una domanda: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?”. Una domanda simile verrà posta anche a due discepoli dopo i fatti di Gerusalemme, mentre ritornavano delusi e impauriti alla propria vita, diretti verso Emmaus: non avevano capito nulla di quello che avevano visto.

Anche noi ci poniamo la domanda: Di che cosa discutiamo lungo la strada della vita? Di che cosa parliamo? Che cosa occupa i nostri pensieri e i nostri discorsi nella vita quotidiana, di discepoli di un Maestro così?

Sono passati secoli, eppure siamo, come i Dodici, ancora nell’incomprensione nel cogliere ciò che veramente conta nella vita cristiana, preoccupati del nostro potere, grande o piccolo che sia, impegnati a guadagnarci un angolo di palcoscenico per saziare almeno un po’ la fame di protagonismo.

Contro di noi come ai suoi discepoli, Gesù non spara fulmini e saette, non ci rifiuta, nonostante le nostre incomprensioni e incoerenze. Egli con pazienza siede accanto, ci chiama vicino e ricomincia da capo: Non solo con le parole, ma anche con gesti significativi. Gesù non si sdegna, non si altera, non ci condanna. Pazientemente ci aiuta a mettere al centro il primato dell’amore e ci fa capire che l’unico primato è il servizio, è il mettersi a disposizione. L’unica ambizione è quella del dono senza riserve, dell’offrirsi senza interesse, del dare la vita come Lui, che non è venuto per emergere, per sopraffare gli altri e regnare, ma per servire. Non ci resta che tenere fisso lo sguardo su Gesù –  nostro modello – per assorbire la sua umiltà e mitezza, il suo servizio e amore fino al supremo sacrificio.

Don Danilo Marin