Siamo nel cuore dell’evento che la Diocesi di Chioggia celebra in collaborazione con le Congregazioni dei Paolini e delle Paoline: il Festival della Comunicazione. Cultura, sport, musica, cinema, teatro, stampa, radio, televisione, il vasto e complesso mondo del web, tutti a servizio della trasmissione delle belle notizie, che non mancano anche nel nostro territorio, ma che non vengono adeguatamente veicolate. È questione di comunicazione! Sembra impossibile, visto che si può captare in tempo reale ciò che accade e immediatamente farlo giungere ai quattro angoli della terra. Ancora una volta i mezzi sembrano non bastare; per una comunicazione autentica e incisiva ci vuole anche il cuore. Sia nella diffusione che nella ricezione sono indispensabili le sue corde. Dovendo scrivere di vocazione la settimana scorsa ho analizzato il senso collettivo dell’esperienza, ricco di interessanti sfaccettature, ma ho sentito impellente il bisogno di focalizzare cos’è per me, quanto mi coinvolge, le emozioni che l’hanno accompagnata nel mio percorso personale. Se mi preoccupo, poi, dell’ascolto e dell’attenzione da parte del lettore, è chiaro che qualsiasi dissertazione deve avere presenti i destinatari, che ne saranno coinvolti nella misura in cui ne conosco i bisogni e le attese. Difficile se non impossibile che questo possa avvenire su piattaforme del tutto neutrali, fredde e distaccate, incapaci o volutamente restie a implicazioni personali ed emotive. Ecco perché Papa Francesco, nel suo messaggio per la giornata di domenica 2 giugno, propone come fondamento di una comunicazione autentica la necessità di fare comunità. “Siamo membra gli uni degli altri”afferma San Paolo nella Lettera agli Efesini ed è proprio riconoscendo e sperimentando questa stupenda realtà che possiamo far passare tra noi molto di più di semplici notizie, sia pur belle, bensì la “bella notizia” che getta luce su qualsiasi forma di buio, gioia su ogni tristezza, coraggio dentro il baratro dello scoraggiamento e della paura. Un giovane operaio mi confidava proprio oggi che a volte ama apostrofare, tra il serio e il faceto, i propri compagni di lavoro con l’espressione: “Ma tu sai di avere un amico che ti ama perdutamente?”. Alla risposta interrogativa e incuriosita ribadisce: “È Gesù!”. Pensavo quanto è facile trovarlo postato sui social, capita ancora di trovarlo scritto sui piloni dei viadotti o ad imbrattare qualche segnale stradale. Ma dirlo direttamente ad una persona, guardandola negli occhi, tendendole magari la mano per dare credibilità alle parole, è un’altra cosa. Qui nasce o muore la comunità, ogni tipo di comunità, quella umana, quella ecclesiale, quella familiare, proprio qui, nella capacità di mettersi in gioco riconoscendo di essere amati e traducendo questo amore in gesti coerenti di fraternità. Le belle notizie sono l’eco della bella notizia, e diffonderle diventa la testimonianza che il regno di Dio cresce tra noi anche per mezzo nostro
fz