Ritorno alle radici

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SGUARDO PASTORALE

Ritorno alle radici

Figure sacerdotali come quelle presentate da “Lievito di fraternità”, e che sono andato descrivendo negli ultimi articoli, affondano le loro radici “nel prezioso lavoro del Seminario”, oltre che “nell’ambiente educativo della famiglia e della comunità di riferimento”. La formazione non è mai conclusa, ovviamente, ma nessun “processo di conversione può supplire a un grave deficit di formazione iniziale”, per cui quella che viene definita “permanente” sarà tanto più agevole e fruttuosa quanto più sarà stata preceduta e fondata su quella iniziale. Per questo i vescovi italiani sottolineano chiaramente che il Seminario deve essere “un itinerario di vera iniziazione e non semplice istruzione e abilitazione”, e per questo formulano alcuni “criteri di discernimento” da individuare nelle “attitudini alla fraternità presbiterale, all’obbedienza ecclesiale e alla vita apostolica”. Come si evince, non si tratta di criteri dettati da esigenze organizzative e funzionali, bensì “dal legame sacramentale che costituisce diaconi, sacerdoti e vescovo in un solo corpo”.

I confratelli impegnati in questa fase delicata dello sviluppo vocazionale non sono sprecati e la loro preparazione deve stare a cuore a ogni Chiesa locale. Anche “una collaborazione tra diocesi piccole” può “favorire una vita di comunità più significativa, maggiori possibilità di confronto per i seminaristi e giustifica la scelta di formatori che si dedicano a tempo pieno a questo ministero”. “Decisiva rimane l’iniziazione a una forte esperienza di sequela di Gesù Cristo”, “all’interno di un’autentica crescita nella fede”, “la disponibilità a tenere fisso lo sguardo su Gesù, coltivando la prassi della lectio divina e dell’adorazione eucaristica” perché “la cura della vita interiore è la prima attitudine pastorale” che un presbitero deve avere. Di fronte a personalità già formate, come quelle che accedono oggi al Seminario, risulta quanto mai delicato aiutare i candidati “a verificare la rettitudine delle intenzioni e la consistenza delle motivazioni”, soprattutto se maturate in un contesto di “famiglia ferita, con assenza di genitori e con instabilità emotiva” come avviene sempre più di frequente. L’urgenza di offrire pastori alle comunità parrocchiali fanno cadere a volte i vescovi nella “tentazione di prendere senza discernimento i giovani che si presentano”, quando per “studiare bene il percorso di una vocazione” risulta necessario – afferma il papa – “esaminare bene se è dal Signore, se quell’uomo è sano, se è equilibrato, se è capace di dare vita, di evangelizzare, di formare una famiglia e rinunciare a questa per essere di Gesù”. Posso affermare per esperienza che non si arriva mai a cuor leggero a dimettere un candidato dal Seminario, così come a rifiutare di accogliere chi viene espulso da altri, ma se un educatore ha coscienza che non ci sono i requisiti per svolgere il ministero, deve affrontare anche le inevitabili critiche e prendere delle decisioni per il bene della persona. Certamente la perfezione non esiste, ma due dimensioni sono ineludibili, quelle della “capacità relazionale” e di una sincera “passione apostolica”, che garantiscono la vita fraterna nel presbiterio, “l’obbedienza senza ombra di finzione”, “l’attitudine alla carità pastorale – l’amore per la gente – e allo stile sinodale”. “L’obiettivo finale rimane quello di far crescere personalità complete, che considerino il ministero presbiterale come l’adempimento della volontà di Dio nel servizio disinteressato al popolo di Dio, in mezzo al quale siamo posti per camminare con letizia”.

don Francesco Zenna

Da Nuova Scintilla n.45 – 26 novembre 2017