L’addio a don Fabio

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Parroco di Ca’ Lino dal 1970 al 2015, figura poliedrica e significativa

L’addio a don Fabio

Sono stati celebrati sabato 25 marzo nella chiesa di Ca’ Lino i funerali di don Fabio Calore che, dopo un breve ministero in altre comunità, vi fu parroco dal 1970 al 2015, spendendo tutto se stesso al servizio della locale comunità ecclesiale e del paese. La chiesa non è stata sufficiente a contenere i fedeli, molti dei quali hanno seguito la celebrazione dal sagrato. Il rito, iniziato con la biografia presentata dal vicario generale e concelebrato da una trentina di sacerdoti, è stato presieduto dal vescovo Adriano che all’omelia ne ha ricordato la figura poliedrica, rendendo grazie al Signore del bene compiuto a favore della popolazione. Al termine don Matteo, che guida ora la comunità, ha letto la toccante lettera di un parrocchiano che esprimeva il grazie di tutta la comunità; letta anche una poesia di don Fabio, “La mano” (rivolta al Signore): significativo duplice applauso di partecipazione dei fedeli presenti. La salma è stata poi tumulata nel cimitero di Sant’Anna. Riportiamo il profilo-ricordo tracciato da un confratello.

Tipo originale: incline all’arte, dedito alla comunità

Quando gli morì la madre, nell’immaginetta-ricordo fece scrivere sotto la foto “Mamma Maria è andata in Paradiso”. Un modo originale di augurare il massimo dei beni alla persona più cara: ‘originale’, qual era il di lui temperamento. Cominciai a conoscerlo quando entrai in Seminario. Eravamo allora una settantina; lui, che fungeva da organista e infermiere, era ormai suddiacono con altri tre amici pari corso. Per noi ginnasiali era edificante vederli, la mattina a messa, accostarsi alla comunione in veste e cotta. La rigida separazione, che vigeva allora tra ginnasiali, liceali e studenti di teologia, si allentava un po’ a Natale, a Carnevale e Pasqua. In quei fugaci intervalli di tempo si riusciva a intravvedere qualcosa anche della personalità degli amici ‘maggiori’. Ad esempio, nel periodo natalizio (allora non si tornava in famiglia) si organizzavano serate con trattenimenti vari. Ricordo il chierico Fabio come teatrante. Quella sera – eravamo a cavallo tra il ‘53 e il ’54 – arrivò dal fondo del salone che fungeva da platea, spingendo una carriola su cui era adagiato un suo compagno di corso, il quale regalava sberleffi e faceva linguacce a destra e a manca; spinse spavaldo quel dolce carico fino al palcoscenico, come se vendesse eccellente ‘succa-barucca’; poi, con l’apertura del sipario venne il resto di quella serata esilarante. Anche lontano dal palcoscenico appariva estroso. Al pranzo della mia ‘prima messa’ (1962), il parroco di Contarina, dove lui fungeva da cappellano (1956-65), gli assegnò la lettura dei telegrammi nell’intervallo prima del dolce. Ed egli li declamò col tono di un banditore istrionico così da sorprendere tutti gli invitati, tra cui il preside della Scuola Media locale, dove avevo frequentato, e qualche altro mio ex insegnante. Quand’era cappellano a Sottomarina (1965-70) non mascherò le sue spinte alquanto temerarie: cominciò a proporre le prime mostre pittoriche ‘personali’, dove compariva tra l’altro anche qualche ‘Nudo pudico’. E non tollerando i ripetuti ordini che arrivavano dalla canonica del parroco alla casa del cappellano via citofono, non tardò a tranciarne i fili, forse perché preferiva la comunicazione diretta. Di fatto, su questo fronte era spesso vincitore. Aveva un ascendente particolare soprattutto sui ragazzi e i giovani: mimica facciale e ampio repertorio tonale della voce affascinavano più del mago Zurlì. Perciò le scampagnate con lui riuscivano sempre colme di allegria. Vennero poi gli anni della responsabilità diretta a Ca’ Lino come curato (1970- 86) e poi come parroco (1987-2015). Si immedesimò con quel territorio a forte vocazione turistica e con la popolazione residente, laboriosa e semplice. Gli impegni non erano pochi: ristrutturare la chiesa, le opere parrocchiali, creare la chiesa succursale adiacente alla spiaggia, organizzare il servizio pastorale nella chiesa parrocchiale e in quella estiva di Isola Verde, installare l’impianto fotovoltaico; e poi c’era l’insegnamento di Educazione artistica alla Scuola statale e per alcuni anni anche presso la Scuola Media legalmente riconosciuta del Seminario. Più di qualche operazione fu eseguita senza la debita attenzione alle modalità burocratiche; è vero. Ma il vulcanico don Fabio non si lasciava fermare. E c’era anche l’hobby della pittura da coltivare (alcune sue opere sono esposte in Episcopio e nel Seminario diocesano). Tutto, a partire dal modesto centro di Ca’ Lino, dove, accanto a lui, c’era sempre la sorella insegnante Loredana. Non è a caso che abbia desiderato la messa di commiato proprio a Ca’ Lino e la sepoltura nella vicina Sant’Anna, benché da due anni risiedesse a Padova nella parrocchia della Madonna Pellegrina. Sì, il declino lo volle passare lontano dalla sede diocesana, nell’ombra. D’altra parte un disegnatore conosce bene l’importanza delle ombre, necessarie a evidenziare le forme, e forse a persuadere che anche noi siamo profili di ombre che si defilano pian piano dal teatro della vita: prima la noia del poco da fare, poi il bastone di sostegno, quindi l’ospedale, da ultimo la partenza senza ritorno. L’epilogo è avvenuto mercoledì 22 marzo ultimo scorso. Aveva ottantotto anni. Don Fabio ha concluso il lungo rosario del suo servizio sacerdotale con parecchi ‘gloria’ e non senza qualche ‘litania’ estravagante. Passando tra luci e ombre, ha cercato la luce. Quella luce che – a detta di Platone – è l’ombra di Dio. 

G. Marangon

Nuova Scintilla n.13 – 02 aprile 2017