Chiesa in uscita

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Lo sguardo pastorale

Chiesa in uscita

“Uscire” è uno dei cinque verbi attorno ai quali si è sviluppata la riflessione dei convegnisti all’incontro ecclesiale nazionale di Firenze. Il significato di questo verbo va cercato soprattutto nel magistero di Papa Francesco che invita la Chiesa a esprimere in maniera più concreta e coraggiosa la sua indole missionaria. Penso che abbiamo letto tutti l’esortazione apostolica Evangelii gaudium e che ci siamo lasciati raggiungere dagli echi del Convegno “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, per cui non è il caso di riprendere tutta la ricchezza teologica contenuta in queste sorgenti.

Chiediamoci piuttosto che cosa domanda concretamente alle nostre comunità parrocchiali vivere una pastorale “in uscita”. Abbozzo una risposta sulla quale mi piacerebbe dialogare con chi mi legge, soprattutto i confratelli, anche per verificare sul campo la concretezza delle proposte.

Uscire, ad esempio, significa non pretendere che la gente venga come una volta, per “precetto”, alla Messa domenicale; significa evitare di lanciare rimproveri plateali a chi non partecipa alle iniziative parrocchiali, accusandoli di aver perso la fede. La partecipazione non va pretesa, va promossa. E questo è possibile se la comunità, i presbiteri e i loro collaboratori, si mettono in ascolto delle situazioni problematiche delle persone e delle famiglie: il peso del lavoro, la fatica nell’educare i figli, la precarietà della salute, quando non addirittura la mancanza del necessario per arrivare a fine mese, pagare bollette e affitto, la scuola dei figli o le cure mediche.

L’ascolto va favorito con apposite strutture, quali i “centri” nati allo scopo in più parti della diocesi, ma anche entrando nelle case, nella vita concreta della gente. Tornare a visitare le famiglie non va vissuto come un ritorno al passato ma come un’opportunità, a volte l’unica, di farsi presenti, di far giungere il senso di un’appartenenza e un’istanza di fedeltà. Ci sono circostanze in cui questa visita diventa un dovere: in occasione di un lutto, per la presenza di una persona inferma, per la nascita di un figlio e l’avvio di un percorso propedeutico al cammino di iniziazione cristiana, per una festa, fosse anche di un semplice compleanno. Uscire significa studiare e avviare iniziative pastorali che non intercettino, per modalità e orario, sempre le stesse persone ma anche e soprattutto i giovani; hanno bisogno di percepire lo spessore umano del messaggio evangelico con le sue coordinate di misericordia e di tenerezza. Uscire significa prendere per mano chi ha perso la speranza, la voglia di lottare, l’affetto dei propri cari, il coraggio della fedeltà, la pazienza nel portare la croce delle proprie fragilità e la fiducia in un possibile futuro; prendere per mano e accompagnare all’incontro con il Signore Gesù attraverso il dono della Parola, e non delle nostre parole, e il dono della Grazia, di cui siamo stati fatti generosi dispensatori e non custodi gelosi.

Chiesa in uscita è poi quella interpretata dai fedeli laici quando trattano le cose del mondo, dall’economia alla politica, dal lavoro al tempo libero, dalla famiglia alle molteplici implicanze sociali e non si dimenticano che con lo stile delle loro relazioni e la coerenza delle loro scelte testimoniano la forza del vangelo e la bellezza della vita cristiana.

don Francesco Zenna