PAROLA DI DIO – Rallegrarsi del bene, sempre

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PAROLA DI DIO – Rallegrarsi del bene, sempre

Letture: Num 11,25-26; Salmo 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

Nm 11,25-26. “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore”.

Usciti dall’Egitto come massa di persone raccogliticce, ormai avviati verso la terra promessa, gli “Israeliti” stanno diventando un popolo “organizzato” guidato da Mosè e da qualche suo collaboratore e regolato dalla legge sancita nell’Alleanza del Sinai. Sorge però ora la necessità mettere in piedi le istituzioni che assicurino la comunione tra tutta questa gente, la giustizia reciproca e la fedeltà all’Alleanza. “Radunami settanta uomini tra gli anziani…Prenderò lo spirito che è su di te per metterlo su di loro perché portino con te il carico del popolo…” (Nm 11, 16-17). Il Signore realizza la promessa: “Il Signore prese lo spirito che era su Mosè e lo infuse sui settanta anziani…e quelli profetizzarono”. La “pentecoste”  riservata agli anziani li abilita alla guida del popolo con Mosè investendoli della funzione profetica di discernere la volontà di Dio nelle vicende che si troveranno a vivere e di invitare il popolo a praticare la volontà di Dio espressa nella legge. Due uomini del numero dei designati, non presenti alla convocazione ricevettero ugualmente lo Spirito e in mezzo alla gente “si misero a profetizzare”. Mosè, informato della cosa non interviene perché riconosce che i due erano nel numero dei designati, anche se non erano nel luogo di culto stabilito. Mosè deve intervenire invece per correggere l’atteggiamento di Giosuè che avrebbe voluto impedire l’esercizio di questo dono. “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!”. Il carisma profetico non è relegato ad un luogo ma il suo luogo sarà proprio il popolo stesso, nel bel mezzo della sua vita concreta. L’auspicio di Mosè si realizza pienamente quando Pietro a Pentecoste proclama, citando il profeta Gioele: “Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona…”(At 2,17).

Salmo 18. “I precetti del Signore fanno gioire il cuore”.

 

    

Il salmo 18 è un inno che celebra la rivelazione di Dio nel creato (vv. 1-7) e nella legge (8-11), mostrando l’atteggiamento che l’uomo deve tenere di fronte alla legge(12-15). Oggi vengono proposti  dei versetti presi dalla seconda e terza parte. La rivelazione del Signore è definita ‘legge’ perché è insegnamento autoritativo e ‘testimonianza’, cioè manifestazione ascoltata nell’alleanza e trasmessa di generazione in generazione. Il riferimento al ‘timore del Signore’ sottolinea che la rivelazione va accolta con grande rispetto e venerazione; come ‘giudizi del Signore’, giudizi stabili e giusti, da desiderare e conoscere. Il salmista si sente servo del Signore che vuole essere istruito nella sua parola dalla quale si attende grande profitto. Teme però tre cose: le inavvertenze, i peccati di cui non sia consapevole e l’orgoglio. Le inavvertenze sottolineano la cura che ci vuole per conoscere la volontà del Signore. I peccati che non vede, dai quali chiede di essere assolto, sono forse quegli atteggiamenti ancora distanti dalla volontà del Signore, dai quali chiede di essere purificato per poter comprendere la sua volontà. Infine l’orgoglio: è peccato di cui si è responsabili e che rende schiavi di noi stessi; solo liberati da esso si diventa servi docili di Dio e della sua parola.     

Gc 5,1-6. “Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!”

E’ l’ultimo tratto della lettera di Giacomo proposto dalla liturgia. Esso è l’eco dei tre ‘Guai’ riportati dal vangelo di Luca (6,24-25). Al centro c’è quell’affermazione ironica: “Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!”, proprio per negare che quei tesori giovino qualcosa nell’ “ultimo giorno”, anzi ciò che hanno accumulato alla fine sarà causa della loro rovina. E’ alla luce del futuro giudizio di Dio che vengono valutate le proprie scelte di vita fatte nel tempo presente perché ci sarà un tempo nel quale rimarrà solo il passato e sarà irrecuperabile. Allora ciò che sembrava procurare riso e gioia si trasformerà in pianto e grida per le minacce imminenti. Viene denunciata una vita tutta spesa ad accumulare ricchezze, a riempire armadi di vesti, ad ammassare oro e argento, quasi che tutto questo fosse il segno di una vita riuscita. Ma cosa rimarrà di quanto gelosamente custodito nei loro forzieri? Putridume, vesti divorate dalle tarme, oro e argento trasformati in ruggine! Ecco tutto ciò per cui essi hanno faticato! Anzi, quella ruggine diventerà fuoco che distruggerà loro stessi, perché tutta quella ricchezza è salario necessario alla vita che essi hanno defraudato ai lavoratori, le cui grida mai essi hanno ascoltato. Le grida e le proteste di quella gente sono giunte agli orecchi di quel Signore al cui giudizio ora anche loro devono sottostare. Ecco il giudizio: “Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage…Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza”. Forte invito a ravvedersi fin che si è in tempo.

Mc 9,38-43.45.47-48. “Chi non è contro di noi, è per noi”. 

L’attenzione va posta ai detti di Gesù. Uno degli apostoli, Giovanni, riferisce a Gesù che essi, avendo assistito  a un’azione di liberazione dai demoni fatta nel nome di Gesù da uno che “non ci seguiva”, cioè non apparteneva al loro gruppo, avrebbero voluto impedire tale uso del suo nome. “Non glielo impedite” è la risposta di Gesù. Con questa risposta Gesù invita a dare la precedenza all’azione salvifica che viene comunque da Lui anche per mezzo di chi al momento non lo riconosce, ma proprio a causa dell’efficacia dell’invocazione di quel nome giungeranno a riconoscerlo. Dalla salvezza esperimentata in suo nome non può che derivare un invito a rendere grazie a Dio per ciò che si compie nel nome del suo inviato Gesù Cristo. Ci si deve rallegrare di tutto il bene che nel mondo si compie, perché Gesù è venuto proprio per la salvezza. “Chi non è contro di noi è con noi”: alla proposta di esclusione dei discepoli Gesù oppone un atteggiamento inclusivo. I detti successivi invitano a riconoscere l’accoglienza riservata a suoi discepoli come accoglienza offerta a lui stesso. Segue un detto molto severo per coloro che inducono ogni semplice credente in Gesù ad abbandonare la fede: saranno puniti molto severamente; il paragone dell’essere gettati nel mare con una macina legata al collo dice la gravità mortale della pena. Forse questo detto si riferiva specificamente ai giudici o ai boia che, in situazione di persecuzione, tentavano di persuadere i cristiani più deboli e timorosi a rinnegare la fede. Anche gli ultimi detti lasciano intendere una situazione di persecuzione e di tortura: la tripla dichiarazione sulla mano, il piede o l’occhio, afferma che al credente, piuttosto che rinunciare alla fede perdendo la salvezza eterna, conviene rinunciare a una di quelle parti del corpo. Sappiamo che, nel libro dei Maccabei, chi non rinnegava la fede era sottoposto al taglio delle mani, dei piedi, allo strappo della lingua o allo scorticamento della pelle. Con queste sentenze Gesù invita a valutare cosa è in ballo: la salvezza che egli offre dando la possibilità di “entrare nella vita” in contrapposizione della tragica sorte di finire “nella Geenna”, cioè nella perdizione eterna.

                                           + Adriano Tessarollo