Oltre i muri e le paure

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SACROFANO. IV Convegno missionario nazionale. Chioggia presente

Oltre i muri e le paure

Uscire, incontrare, donarsi: questi i paletti della riflessione condotta da oltre 500 laici, 130 religiose/i e 230 sacerdoti – molti fidei donum -, tutti delegati della Chiesa italiana direttamente impegnata nella missione ad gentes riunita per il IV Convegno Missionario Nazionale, svoltosi dal 20 al 23 novembre a Sacrofano (Roma). Filo conduttore il tema: “Va’ a Ninive, la grande città… dove il vangelo si fa incontro”. La nostra Diocesi c’era con p. Giancarlo Piovanello, direttore del Centro Missionario, e con Silvia Paredes, membro dell’équipe diocesana del CMD.

Papa Francesco, ricevendo in udienza i convegnisti, è andato subito al dunque: “I poveri sono i compagni di viaggio di una Chiesa in uscita, perché sono i primi che essa incontra.

I poveri sono anche i vostri evangelizzatori, perché vi indicano quelle periferie dove il Vangelo deve essere ancora proclamato e vissuto”. Sì, perché uscendo è possibile anche sbagliare porta e quindi imboccare strade che non portano lontano dal progetto di Dio, proprio com’è successo a Giona che trova la sua via d’uscita verso Tarsis. Ma è a Ninive che bisogna andare! Ecco una preziosa avvertenza emersa dal convegno per tutti i discepoli-missionari. “Una Chiesa missionaria – ha inoltre affermato il Pontefice – non può che essere ‘in uscita’ e non ha paura di incontrare, di scoprire le novità, di parlare della gioia del Vangelo” a tutti, senza distinzioni, “ma senza forzare”. “La missione è compito di tutti i cristiani, non solo di alcuni – ha soggiunto –. È compito anche dei bambini. Nelle opere missionarie pontificie, i piccoli gesti dei bambini educano alla missione”.

Gesù, ha continuato, “fu un uomo della periferia, di quella Galilea lontana dai centri di potere dell’Impero romano e da Gerusalemme. Incontrò poveri, malati, indemoniati, peccatori, prostitute, radunando attorno a sé un piccolo numero di discepoli e alcune donne che lo ascoltavano e lo servivano. Eppure la sua parola è stata l’inizio di una svolta nella storia, l’inizio di una rivoluzione spirituale e umana, la buona notizia di un Signore morto e risorto per noi”. Papa Francesco ha chiarito, inoltre, che “uscire” è non rimanere “indifferenti alla miseria, alla guerra, alla violenza delle nostre città, all’abbandono degli anziani, all’anonimato di tanta gente bisognosa e alla distanza dai piccoli” e anche “non tollerare che nelle nostre città cristiane ci siano tanti bambini che non sappiano farsi il segno della croce”. I missionari, poi, “non rinunciano mai al sogno della pace, anche quando vivono nelle difficoltà e nelle persecuzioni”. “Ho incontrato nei giorni scorsi vescovi del Medio Oriente, anche parroci delle città più attaccate dalla guerra in Medio Oriente – ha sottolineato – erano gioiosi nel servizio a questa gente. Soffrivano per quello che succedeva, ma avevano la gioia del Vangelo”.

Da parte sua, mons. Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della commissione della Conferenza Episcopale Italiana per la cooperazione fra le chiese, ha sottolineato che “la missione “alle genti” è missione ai poveri” perché i poveri ci trascinano a vedere il male e i suoi effetti, e Gesù è venuto per lottare fino a liberarci dal male. Quindi “la Chiesa o è in uscita o non ha futuro”.

In questo alveo si è innestato l’atteso contributo di padre Gustavo Gutiérrez, domenicano peruviano, noto teologo della liberazione, che ha sottolineato più volte che essere solidali con i poveri non vuol dire solo aiutarli materialmente ma anche agire per risolvere le cause che generano la povertà. Tutto questo a partire dalla consapevolezza che “la povertà è una realtà molto complessa che non riguarda solo l’aspetto economico, ma anche quello culturale, razziale, e di genere. Inoltre dobbiamo considerarne le cause: troppo spesso l’umanità e la Chiesa nel passato hanno considerato la povertà come un fatto quasi naturale. Invece la povertà è una creazione dell’uomo”.

Oggi, crisi e recessione, guerre e terrorismo, fame e pandemie ci possono lasciare nelle sabbie mobili di un giudizio impietoso, non solo sul presente, ma anche su quello di un futuro quasi già ipotecato. Ed è proprio qui che la missione ad gentes può essere un varco ancora nuovo contro ogni luogo comune fradicio di pessimismo.

La nostra ormi è solo un società planetaria, avvolta nella spirale di un’evoluzione non-stop. Non esiste e non abbiamo un altro mondo da evangelizzare: questo è il mondo che Dio ama. Il fiume della globalizzazione ha da tempo esondato allagando anche i cortili più sperduti e tutti dobbiamo ormai imparare a navigare avendo perso quasi tutti i punti di riferimento passati. A partire dalla rinnovata consapevolezza che la Chiesa non è, e non è mai stata, estranea alle vicende umane e, sempre, come una sentinella, sta sulla breccia per indicare un oltre ancora possibile. Il beato Paolo VI l’ha insignita del titolo di “esperta in umanità” ed è in forza di questo che osa ancora proporsi come compagna di strada per l’uomo d’oggi, soprattutto per chi oggi si è fermato ai margini, stanco, perché vinto dalla tentazione che possa esserci ancora un futuro su cui investire l’unica vita che abbiamo.

È stata inoltre ribadita la consapevolezza che la nostra Chiesa di antica tradizione non è più il baricentro della cattolicità nel senso che, in questi anni, è avvenuto un autentico cambio di prospettiva: da una Chiesa che faceva missione, esportando il Vangelo, ad una comunità di fedeli che, attraverso lo scambio di esperienze, non solo comprende meglio la propria identità, ma può crescere grazie anche al contributo di Chiese sorelle del resto del mondo. Tutto questo espresso sullo sfondo di Ninive, metafora eloquente della città universale del terzo millennio. In fondo, il messaggio provocatorio che viene da Sacrofano, in linea col magistero di Papa Francesco, è diretto: non è più lecito continuare a vivere di rendita, confidando sugli allori di un passato non replicabile. Anche gli stessi missionari “ad vitam” sono chiamati a rendersi conto che provengono da terre, sociali ed ecclesiali, ormai assai diverse da quelle che hanno lasciato alle spalle partendo. Senza dimenticare che, sebbene il mondo ad gentes sia una galassia fatta da diocesi, congregazioni, istituti, associazioni e movimenti, è ormai inderogabile una maggiore sinergia e coordinamento delle forze in campo. Una cosa è certa: sarebbe un vero peccato se questa assise missionaria nazionale si riducesse a un’esperienza di periferia rispetto al cammino che la nostra Chiesa italiana ha intrapreso in vista, soprattutto, di un altro appuntamento, quello del convegno ecclesiale nazionale di Firenze in programma il prossimo anno sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. È tempo infatti che la “missio ad gentes” diventi effettivamente il paradigma di ogni iniziativa pastorale anche nella Chiesa italiana. Su questo auspicio si sono salutati i convegnisti.     (GP)

 

da NUOVA SCINTILLA 45 del 30 novembre 2014