A cosa serve il diaconato permanente?

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S’è svolto il 1° Convegno triveneto delle comunità diaconali

A cosa serve il diaconato permanente?

A “cosa serve” il diacono permanente? Questo è uno dei passaggi provocatori della relazione di don Erio Castellucci – teologo e parroco di Forlì, autore di molte pubblicazioni sul diaconato – presentati sabato 11 ottobre a Verona, durante il 1° convegno ecclesiale delle comunità diaconali promosso dalla Conferenza Episcopale Triveneto. Al Convegno erano presenti circa 330 convenuti: mons. Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo di Udine e delegato Cet per il diaconato, i diaconi, i candidati in formazione, le mogli, i sacerdoti delegati episcopali ed alcuni vicari generali rappresentanti dei vescovi.

Il convegno ecclesiale aveva lo scopo di offrire visibilità a questo ministero e riflettere sulla sua identità; un «convenire tra le Chiese del Nord Est, per pregare, riflettere, condividere e maturare maggiore consapevolezza del prezioso dono del Diaconato», ha affermato mons. Dino Bressan, responsabile della Commissione regionale. Dopo le presentazioni e la preghiera delle Lodi – presiedute da mons. Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, e animate dalla comunità diaconale di Verona – il Convegno è entrato nel vivo del tema. Nella panoramica generale – scaturita dall’indagine conoscitiva promossa dalla Commissione triveneta e presentata dal suo segretario, il diacono Tiziano Civettini – è emerso che in questa Regione ecclesiastica esercitano attualmente il loro ministero 331 diaconi e più di 90 sono i candidati e aspiranti in formazione. Circa un quarto dei diaconi ha più di settant’anni e praticamente tutti operano con entusiasmo il loro servizio; la grande maggioranza di essi è sposata e svolge il ministero grazie all’insostituibile sostegno delle mogli. Castellucci, dopo un rapido accenno alle cause che portarono alla scomparsa del diaconato nella sua forma stabile, ha sottolineato la chiara intenzione dei Padri del Concilio Vaticano II, che l’hanno ripristinato, di non fondarlo in modo funzionale o utilitaristico (la carenza di preti), ma in una maggior fedeltà allo Spirito Santo, ricercandone piuttosto la motivazione nella necessaria completezza di tutti tre i “segni” presenti nel sacramento dell’Ordine Sacro. A “cosa serve” quindi il diacono? Se in lui opera sacramentalmente la carità di Cristo, il diacono, prima di essere un operatore pastorale, è “una vita donata a Cristo servo”, che permette alle povertà degli uomini concreti di intercettare nel quotidiano la stessa carità del Figlio di Dio. Il diacono serve le povertà che oggi si presentano in varie forme nella Chiesa: la povertà materiale, che richiede di occuparsi dell’esistenza quotidiana delle persone; la povertà psicologico-affettiva-relazionale, che chiede vicinanza per vincere la spirale della solitudine e della disperazione, a tutte le età; la povertà morale, derivata dalla confusione dei valori e dal conseguente spaesamento; la povertà spirituale, di chi non sa più orientarsi o di chi si abbevera a fonti inquinate e illusorie e non trova la via della vera vita. Su queste basi si può anche affrontare il tema del “cosa fa” un diacono. In stretto rapporto con il suo vescovo, col quale è indissolubilmente legato, eserciterà un servizio che non si caratterizza come supplenza del presbitero. Il diacono non potrà certo svolgere tutto (il suo servizio concreto dipende da molte variabili), ma promuoverà, animerà e ‘disturberà’ la comunità, spingendola nella direzione dell’animazione della carità di Cristo. Alla relazione si sono succeduti numerosi interventi chiarificatori che hanno approfondito il tema. Centro del Convegno ecclesiale è stata la celebrazione dell’eucaristia presieduta dal Vescovo delegato Cet, in sostituzione del Patriarca mons. Francesco Moraglia, impegnato a Roma per l’incontro con Papa Francesco, ma che ha voluto farsi rappresentare da un suo messaggio ai convenuti. Mons. Mazzocato nell’omelia – rievocando la figura di San Lorenzo, diacono di Roma, riletto dalla riflessione di Sant’Ambrogio – ha ripreso e approfondito i temi trattati nella relazione. Nel pomeriggio, si sono svolti i lavori di gruppo suddivisi per fasce di età di ordinazione (anche le spose hanno partecipato a gruppi di lavoro propri). I presenti hanno potuto conoscersi, presentare le proprie esperienze e manifestare i desideri per una migliore comprensione e fedeltà all’identità e alla missione del ministero. Ora si attendono le sintesi dei gruppi, che permetteranno alla Commissione triveneta di riprendere il lavoro con maggiore oggettività e una prospettiva più ecclesiale.

 

da NUOVA SCINTILLA 39 del 19 ottobre 2014