La “predica ai pesci” e il “cuore dell’avaro”

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Spunti dall’omelia del vescovo nella celebrazione alla basilica di sant’Antonio a Padova

il 5 giugno 2014 in occasione del pellegrinaggio della diocesi di Chioggia

La “predica ai pesci” e il “cuore dell’avaro”

Grande partecipazione giovedì 5 giugno al pellegrinaggio della Diocesi di Chioggia nella basilica di S. Antonio a Padova: oltre 1200 fedeli provenienti da ogni parte della diocesi hanno partecipato con grande devozione alla messa presieduta dal vescovo Adriano, concelebrata da una quarantina di sacerdoti. Riportiamo alcuni spunti dall’omelia del vescovo.

Cari fratelli, sorelle e sacerdoti della diocesi di Chioggia. Siamo qui presenti, numerosi, a pregare sant’Antonio. In questa celebrazione voglio richiamare due ambiti particolari che hanno caratterizzato la vita di sant’Antonio. Siamo aiutati in questo dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato e da due ‘miracoli’ attribuiti al santo. Santo è colui che vive alla luce del vangelo e ne fa la sua regola di vita. La vita di sant’Antonio è stata obbedienza e imitazione di Gesù “nell’andare per le città e i villaggi a portare il lieto annunzio del vangelo”. E mi piace ricordare qui il miracolo a lui attribuito quando la gente di Rimini rimaneva indifferente e ostile al vangelo che Antonio andava annunciando: è la sua famosa “Predica ai pesci”.

 

Ecco il racconto. “A Rimini la gente, indifferente e ostile, disertava le prediche di Antonio. Egli, lasciata la città, presso la foce del fiume Marecchia si mise a chiamare: “Venite voi, pesci, ad ascoltare la parola di Dio”. E i pesci affiorarono a migliaia, ordinati e palpitanti, ad ascoltare la parola di esortazione e di lode. E la gente…prima gli si accostò per curiosità, poi con stupore ed entusiasmo accolse la sua parola”. Dunque Antonio non si fermò di fronte all’indifferenza e all’ostilità, ma escogitò qualcosa che attirasse l’attenzione su quella Parola. E vi riuscì.

Una seconda caratteristica della sua predicazione fu di rivolgersi a tutti, con lo scopo di annunciare la misericordia del Signore che “si prende cura dei miseri, di quanti hanno il cuore spezzato dal dolore, di quanti sono colpiti da malattie e infermità, di quanti si sentono stanchi e sfiniti, come pecore senza pastore”. La molla della sua missione, come lo fu per Gesù, fu la compassione che egli sentiva versi tutti gli uomini e donne afflitti da ogni male o oscurità ma anche peccato.

La franchezza di Antonio era anche di denunciare il peccato e le sue conseguenze, allo scopo di portare a vera conversione. E qui mi piace ricordare un secondo miracolo, attraverso il quale Antonio voleva mostrare la radice del peccato dell’avarizia e dell’attaccamento al denaro che porta agli inganni e agli imbrogli del prossimo e della giustizia, giungendo non solo a disinteressarsi dei poveri, ma addirittura a sfruttarli: era proprio ‘essere senza cuore’ verso di loro. Ma ecco anche il secondo racconto, quello del “Cuore dell’avaro”.

Scrive il narratore: “E’ famoso il miracolo che Antonio compì quando, chiamato a predicare ai funerali di uno strozzino, mostrò che il disgraziato aveva il cuore non nel petto, ma nella cassaforte, in mezzo al suo adorato denaro, perché, come dice il Vangelo: “dove è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore”.

Affidiamo a sant’Antonio ciascuno di noi, le nostre famiglie, le nostre parrocchie e tutta la nostra Chiesa, perché tutti cresciamo nell’amore e nel desiderio di conoscere e annunciare il vangelo, nella compassione verso tutti, specie i più poveri e bisognosi del nostro amore e solidarietà.

(+ Adriano Tessarollo)  

 

da NUOVA SCINTILLA 24 del 15 giugno 2014