L’Eucaristia domenicale e la comunità

Facebooktwitterpinterestmail

Finestra sulla liturgia

L’Eucaristia domenicale e la comunità

Tra le celebrazioni liturgiche l’Eucaristia occupa ovviamente il posto centrale. In essa Cristo Gesù continua a spezzare il pane e a condividere il calice del suo Corpo e del suo Sangue. A questo dono attingono regolarmente per la propria vita il credente in Cristo e la comunità cristiana. Il Sinodo diocesano mette in evidenza soprattutto questo secondo soggetto affermando che “il memoriale del mistero pasquale di Cristo (…) costituisce più di ogni altra celebrazione liturgica il «cardine» della comunità cristiana. Ad essa tende e da essa parte ogni espressione della famiglia dei figli di Dio, sia in ordine alla propria costruzione sia in ordine alla propria missionarietà” (art. 153). Questa consapevolezza ha portato i sinodali a emanare due norme che

mantengono ancora tutta la loro importanza. La prima riguarda la centralità della celebrazione eucaristica domenicale tra le preoccupazioni pastorali di una comunità: “La Messa domenicale e festiva deve primeggiare nelle ansie pastorali del parroco e nella pratica religiosa di ogni cristiano. La si renda festosa adunanza di tutti i battezzati che, attorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, crescono nella comunione, alimentano la fede, vivono la carità, orientano la missione” (art. 154). Non può essere che si arrivi alla celebrazione eucaristica domenicale e festiva senza un minimo di preparazione, non solo in ordine all’omelia, ma anche allo svolgimento dei riti, alla proposta dei canti e delle preghiere, all’esercizio dei vari ministeri; altrimenti si è costretti a improvvisare, a scapito della bellezza e della profondità del più importante momento liturgico. È la motivazione per cui i ragazzi si annoiano, i giovani non ne avvertono il senso, gli adulti vi partecipano passivamente solo per soddisfare un precetto, gli anziani continuano a biascicare preghiere proprie. La coscienza di essere radunati come famiglia, per un’esperienza gioiosa e arricchente, matura di fronte alla serietà e all’entusiasmo con cui questo momento viene preparato e vissuto. La seconda norma riguarda una scelta concreta che favorisce la centralità della Messa domenicale: “Sarà necessario ridurre il numero delle celebrazioni, coordinandole a livello di zona, per dare respiro al loro svolgimento, per articolare adeguatamente i servizi ministeriali e rendere significativa la presidenza: così la Messa domenicale diventa sempre più una valida esperienza di Cristo risorto” (art. 155). Proprio per questo non potrà mai essere un incontro frettoloso e, soprattutto, non potrà venire interpretato come gesto privato di un singolo o di un gruppo. Anche nelle celebrazioni feriali con scarsa partecipazione di fedeli, l’Eucaristia mantiene il suo carattere comunitario. Quando è possibile sottolinearlo e viverlo, come di domenica, essa non può venire svilita dall’esigenza che il presbitero ha di correre via per un’altra celebrazione, e neppure dal bisogno, indotto da una mentalità precettistica, di garantire una celebrazione in diverse fasce orarie per facilitare i fedeli, riducendo così la partecipazione ad assemblee ristrette. A questo riguardo il Sinodo auspica che intercorra “almeno lo spazio di un’ora e mezza tra l’inizio di una Messa e l’inizio di una successiva”, anche per dare spazio alla “possibilità di accostarsi alla confessione prima e non durante la celebrazione eucaristica” (art. 156). L’avvio delle unità pastorali nella nostra diocesi esige a volte la riduzione del numero delle Messe; è un’esigenza che non va letta negativamente se viene colta e presentata come possibilità di dare all’unica celebrazione della parrocchia la dimensione della partecipazione corale, a misura di famiglia e con lo stile della famiglia. (don Francesco Zenna)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 6 del 10 febbraio 2013