Domenica 30 gennaio

Ingresso in Diocesi di S.E.Mons. Giampaolo Dianin

Cronaca e interventi di un'intensa giornata

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Domenica 30 gennaio ha fatto il proprio ingresso il nuovo Vescovo di Chioggia S.E.mons. Giampaolo Dianin. Accolto a Valli di Chioggia, confine delle due diocesi Padova e Chioggia, da una delegazione diocesana e le autorità cittadine Clodiense vescovo Giampaolo ha poi fatto visita prima all’Ospedale di Chioggia e successivamente al Centro Anziani di Sottomarina.

Dopo pranzo il programma ha visto l’incontro con le autorità presso la “Pinacoteca SS.Trinità” eia saluto ai giovani nella Basilica di San Giacomo.

Accompagnato dai Boy Scout ha poi proseguito verso il Vescovado. Alle 16 l’inizio della S.Messa di ingresso in Diocesi.

Foto gallery della giornata

Interventi del Vescovo Giampaolo

Ospedale di Chioggia

Cari responsabili di questo ospedale, cari medici, infermieri, personale e soprattutto cari malati. Sono contento di iniziare in questo luogo il percorso che mi porterà oggi pomeriggio a iniziare il mio servizio di Vescovo in questa Diocesi.

Quando abbiamo pensato a questo giorno ho chiesto se c’era un’esperienza di carità da cui partire per testimoniare che la Chiesa e il Vescovo, come ha detto Gesù, hanno uno sguardo di predilezione per gli ultimi, i fragili, i poveri, i malati, i bisognosi. Mi è stato subito proposto questo luogo.

L’ospedale è un luogo sacro, incrocia la vita delle persone nei momenti più delicati della loro vita: la nascita, la sofferenza, la malattia e tante volte accompagna anche le persone quando la vita arriva al suo compimento terreno.

L’ospedale è soprattutto il luogo della fragilità. Quando entriamo in questa casa la vita ordinaria si ferma, il tempo diventa lunghissimo, le giornate non passano mai. Mi ha sempre colpito passare di sera o di notte accanto a un ospedale e vedere le luci sempre accese, come se il giorno e la notte qui avessero trame diverse.

Siamo fragili, siamo creature. Ma in questo luogo si celebra anche la fraternità umana, la solidarietà, la cura, la compassione. Una vera cattedrale della carità.

«Ero malato e siete venuti a visitarmi», afferma Gesù elencando i temi dell’esame finale, quando tutti ci troveremo davanti a Dio, giudice amorevole e pieno di misericordia.

Per chi crede, l’ospedale ci fa sperimentare una fede vacillante, dubbiosa, inquieta. Per chi non crede, in questo luogo sorgono delle domande inevitabili sul senso della vita.

Ma c’è soprattutto una parola che vorrei consegnarvi perché possa accompagnare i giorni della vostra degenza in questo luogo: la speranza.

Il poeta Charles Péguy paragona la fede, la speranza e la carità a tre sorelle: due adulte e una bambina piccina. Vanno per strada tenendosi per mano perché sono sorelle inseparabili; le due grandi ai lati, la bambina al centro. Tutti, vedendole, sono convinti che sono le due grandi – la fede e la carità – a trascinare la bambina speranza che è al centro. Si sbagliano: è la bambina speranza che trascina le altre due; se lei si ferma si ferma tutto. È proprio vero, sono i bambini che ci tirano perché vogliono andare da una parte o dall’altra, correre o fermarsi.

Péguy commenta così: «La fede è colei che tiene duro nei secoli dei secoli; la carità è colei che si dona nei secoli dei secoli. Ma la piccola speranza è colei che si leva ogni mattina».

Ecco l’augurio e la preghiera che in questo momento elevo al Padre per tutti voi che lavorate in questo luogo e soprattutto per voi malati.

Ogni mattina la piccola speranza vi faccia svegliare e alzare. Vi conduca, vi strattoni, vi faccia sorridere, vi doni fiducia nella guarigione, vi faccia sopportare la vostra condizione. E che presto possiate tornare alla vita di sempre, ma senza mai dimenticare i giorni passati in questo luogo che portano sofferenza ma sono anche una scuola dove si insegna la verità della nostra vita.

E per i medici, gli infermieri e tutto il personale invoco da Dio il dono di tanta carità, compassione, delicatezza, ascolto. Invoco quella parola tanto cara a papa Francesco: la tenerezza.

Vi benedico tutti e vi porto nel cuore, in attesa che terminata questa pandemia sia possibile entrare nei reparti e portare un segno di vicinanza e di affetto.

Nei corridoi, nelle vostre stanze, nel vostro cuore dimori questa bambina: la piccola speranza.

Casa di riposo

Pensando a questo incontro in una casa di riposo per persone anziane mi è venuto subito davanti il quarto comandamento che dice: «Onora il padre e la madre».

Ce l’hanno insegnato a catechismo e in questo luogo vivono persone che per tanti motivi hanno bisogno di essere accuditi al di fuori delle loro famiglie naturali dove immagino tutti vorremmo rimanere accompagnati da coloro a cui siamo legati.

Penso ai figli, ai nipoti, ma anche a tutti noi uomini e donne giovani o adulti di fronte a coloro che gli anni hanno reso fragili e bisognosi di assistenza. Tutti siamo chiamati a «Onorare» questi nostri fratelli e sorelle.

Potrebbe sembrare strano che il comandamento inviti a onorare invece di esigere l’amore vista la profondità del vincolo tra nipoti, figli e genitori. L’onore è collegato alla virtù della giustizia che, a sua volta, non può essere piena senza far appello all’amore.

Onorare significa riconoscere l’altro per quello che è, in questo caso riconoscere i genitori e gli anziani come coloro che ci hanno dato la vita, ci hanno accolto, accompagnato a diventare adulti e poi ci hanno riconsegnato alla vita.

La prima condizione dell’amore è proprio la giustizia che viene espressa dal verbo onorare che, nei confronti dei genitori diventa riconoscimento del fatto che ci hanno fatto il grande dono della vita.

Ciascun figlio, ciascuno di noi, potrebbe anche avere cose da rimproverare ai propri genitori e nonni, aspetti legati ai loro limiti personali, culturali, educativi. Il quarto comandamento chiede di accogliere e riconoscere il dono ricevuto e di rendere loro un basilare debito di giustizia, condizione previa dello stesso amore.

Vivo questo momento di incontro con voi con questo spirito: sono qui per rendere onore a voi, e attraverso di voi a tutte le persone anziane, bisognose di aiuto e di sostegno.

Sappiamo bene che la nostra società si trova sempre più a fare i conti con la longevità della vita che è un dono grande ma che porta con sé anche scenari nuovi che esigono progettualità, competenza ma anche tanta umanità.

A tutti voi operatori di questa casa, a tutti gli ospiti la preghiera e l’augurio perché la cura per l’uomo e la donna, anche quando gli anni sembrano evidenziare più il peso che non la risorsa, non venga mai mano. Questo è un luogo dove l’umanità deve sempre abitare, questa è la casa dell’umanità e della cura.

«Fate agli altri quello che vorresti venisse fatto a te». Questa è la regola d’oro che dobbiamo sempre ricordare perché se ci arriveremo, tutti prima o poi avremo bisogno di essere accolti, aiutati e, lo speriamo tanto, anche e soprattutto “onorati”.

Incontro con le autorità

Vi ringrazio per questo incontro che vivo come un benvenuto, un’accoglienza non formale o di rito. Per me certamente non lo è.

Grazie anche del vostro omaggio, il segno del pastore che guida il suo gregge. Ma quel gregge è anche affidato a voi, alla vostra responsabilità e cura.

Con semplicità condivido gli atteggiamenti che porto dentro di me nei confronti di coloro che sono stati chiamati a servire il bene comune o che hanno delle responsabilità sociali, scolastiche, per l’ordine pubblico.

  1. Il senso delle istituzioni

Quando ho insegnato l’etica sociale ho sempre cercato di trasmettere il senso delle istituzioni. La politica è una realtà complessa e conflittuale. Lo vediamo anche in questi giorni nel travaglio per l’elezione del presidente della repubblica. Partiti e schieramenti si confrontano e non mancano i colpi bassi, quelli che umiliano le persone.

«Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna» (Rom 13,1-7).

San Paolo dice che l’autorità è da Dio non nel senso che il singolo o quel partito abbia ricevuto un mandato dall’alto, ma nel senso che la vita di una comunità esige che qualcuno la guidi, la promuova, la difenda.

Sento profondamente mio questo senso del ruolo delicato ed essenziale di chi è stato istituito in un ruolo pubblico, consapevole dell’importanza di questo compito. Un Vescovo è anche un cittadino e ha le sue preferenze politiche, ma mai può mettere in secondo piano il senso delle istituzioni, chiunque sia a rappresentarle.

  1. Collaborazione rispettosa

Tante volte le nostre strade si incroceranno perché ci stanno a cuore quelli che voi chiamate cittadini, io chiamo popolo di Dio.

Collaborare vuol dire lavorare insieme, nella distinzione dei compiti e dei ruoli, senza confusione perché è giusto che ciascuno faccia la sua parte, con le proprie competenze e assumendosi la responsabilità legata al proprio ruolo.

Il rispetto è una parola delicata: significa chiedere il permesso, non invadere, non giudicare frettolosamente l’agire altrui, non avere pregiudizi come se ogni cosa che si fa abbia sempre un secondo fine legato alla ricerca del consenso. Da parte mia vi assicuro questa collaborazione rispettosa.

  1. Fraternità umana

Papa Francesco ci ha consegnato un’enciclica molto appassionata e concreta invocando una nuova stagione di fraternità. L’amicizia è un dono raro e personale; la lotta politica ci sta ed è parte della vita sociale e politica. Ma la fraternità ci può essere anche tra chi milita in schieramenti opposti e anche se non considera l’altro amico.

Siamo tutti fratelli nella stessa umanità, condividiamo la stessa terra, respiriamo la stessa aria, ci nutriamo dei frutti della terra e del mare. La vita è contagiosa per sua natura.

Siamo persone uniche e irripetibili, ma siamo anche parte di una trama di relazioni, da quelle familiari, fino a quelle amicali e sociali. L’abbiamo compreso proprio in questo tempo di pandemia. Pensare di gestire la situazione da soli è irreale. Coloro che non vogliono vaccinarsi, per diverse ragioni sulle quali non entriamo, rivendicano una libertà individuale contro ogni costrizione sociale. Chi accetta di vaccinarsi riconosce che siamo legati gli uni agli altri e solo insieme potremo uscirne.

Confido che insieme, al di là delle idee, dei nostri valori religiosi o laici, tutti possiamo lavorare per una vera e umana fraternità.

  1. Preghiera sincera

Paolo scrive così all’amico Timoteo: «Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore» (1Tim 2,1-3).

Questa è il primo impegno e la prima promessa che faccio a tutti voi. Vi accompagno con tanta stima e simpatia; vi ricordo nella preghiera perché possiate svolgere al meglio il vostro servizio; vi seguirò e vi starò accanto in punta di piedi.

Incontro con i giovani

Grazie della vostra presenza, grazie di essere qui in questo giorno particolare per me e per la nostra Chiesa di Chioggia.

In questo momento ci sono delle parole di rito che un adulto e anche un Vescovo dovrebbe dire a dei giovani: «Voi siete il futuro, voi siete la speranza del domani, la vostra giovinezza è un dono e una risorsa grande…». Tutte parole vere, ma anche un po’ logorate dalla realtà perché tante volte noi adulti prima di fare un passo indietro per lasciarvi il posto ci pensiamo bene.

Ho scelto un testo della Scrittura per questo nostro incontro prima di tutto per presentarmi.

Come Abramo ho accolto la chiamata di Dio e della Chiesa a lasciare la mia terra per venire in mezzo a voi. Non è stato facile: tanti legami, tanti affetti, tante attività. Il cuore ha avuto i suoi subbugli.

Una delle realtà che più di altre mi costa lasciare sono i giovani del mio Seminario. Da tredici anni condivido le mie giornate con 25 giovani. Tredici anni fa erano 47. Ho imparato a conoscerli, camminare davanti, accanto e dietro a loro. Davanti per indicare una meta, accanto per fare i passi giusti con loro, dietro perché chi va più piano non resti indietro.

C’è un canto a me molto caro che dice: «Dio è la mia terra, Dio è la mia casa, Dio è la mia parte di eredità». Ho lasciato la mia terra ma anche questa è terra mia perché abitata da Dio, perché è terra benedetta dalla fede di tanti uomini e donne. Perché Dio ama tutti voi e là dove ci sono persone che Dio ama, un prete si sente sempre a casa. Oggi per me questa è anche “terra promessa”.

E pensando a questo incontro nel cuore ho un po’ sognato: «Spero che i giovani di Chioggia possano essere una compagnia bella, fraterna, gioiosa come lo sono stati i giovani con cui ho camminato in questi anni. Ma non farò confronti, però busso alla vostra porta e vi chiedo di accogliermi con semplicità, come fratello e compagno di viaggio.

Ma la cosa che più mi sta a cuore di condividere con voi ve la dico senza giri di parole: «Partite con me, mettetevi in cammino con me. Non lasciatemi solo, teniamoci per mano e facciamo quel viaggio che Dio chiede ad Abramo di intraprendere».

Vi chiedo di intraprendere con me e con questa nostra Chiesa il viaggio della fede, il viaggio dietro a Gesù che ci ripete: «Vieni e seguimi». È un’avventura difficile ma anche entusiasmante. Lui ha qualcosa di bello e importante da dire alla vostra vita: per il futuro che sognate, per gli affetti che state vivendo, per le scelte che dovete fare, nelle gioie e nelle prove.

Abramo è considerato il padre nella fede. Tutti noi crediamo perché dietro di noi ci sono state persone che ci hanno trasmesso determinati valori, perché abbiamo incontrato testimoni credibili o esempi attraenti e imitabili. Abramo dietro di sé non ha niente se non Dio che lo chiama. L’inizio di Abramo è Dio: Dio è il suo passato, il presente e anche il futuro.

Il futuro che gli sta davanti è abitato da una promessa ma anche da tanta incertezza e perfino da qualcosa che sa di contraddittorio. Dio promette un grande popolo ma Sara è sterile e quindi non ci può essere oggettivamente nessun futuro. La terra è quella che Abramo lascia, ma quella dove andrà è già abitata dai Cananei.

Rischiate con me, come ha fatto Abramo. Se siete qui immagino che già ci sia un legame con la fede e con la Chiesa. Agesci, Azione Cattolica, servizio educativo… Grazie di questa disponibilità.

Io vi chiedo di fare insieme a me e a questa Chiesa il santo viaggio della fede e della sequela del Signore.

Vi chiedo quello che Gesù chiede al giovane ricco: «Una cosa sola ti manca». A tutti manca qualcosa, di fronte al Vangelo siamo tutti eterni apprendisti. Ma possiamo camminare insieme.


Domenica IV Ordinario C

Ingresso a Chioggia

Omelia Vescovo Giampaolo Dianin

In celebrazioni come questa c’è sempre il rischio di dire parole in più, di servirsi della celebrazione Eucaristica per altre cose che, benché importanti, mai devono oscurare la centralità di quanto stiamo celebrando.

Così ho pensato di lasciare che sia la Parola di questa IV domenica del tempo ordinario a prendermi per mano e mettermi sulla bocca le cose giuste da dire. Come un bambino stringo le mani forti e calde della Parola, la Parola di oggi non quella che avrei scelto io; sia que­sta Parola a illuminare l’inizio del mio servizio in mezzo a voi.

  1. «Stringi la veste ai fianchi e alzati» (Ger 5,17)

Parole decise quelle che Dio rivolge al profeta Geremia nella prima lettura. Ma prima di inviarlo Dio accarezza Geremia e lo riporta all’origine della sua esistenza: «Prima di formarti nel grembo ma­terno ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce ti ho consa­crato. Ti ho stabilito profeta delle nazioni».

Sento rivolte particolarmente a me queste parole: Dio mi ha pen­sato e amato prima ancora che io fossi concepito nel grembo di mia madre. Dio ha sognato una missione per me, ma senza nessuna pre­tesa, rispettoso della mia libertà. Io ho risposto senza nessun me­rito, ma forte delle parole che Gesù ha detto a Paolo: «Ti basta la mia grazia».

Queste parole sono rivolte anche a voi fratelli e sorelle della Chiesa di Chioggia. Oggi Dio ripete il suo amore per ciascuno di voi. L’ar­rivo di un nuovo Pastore, al di là della mia persona, è una carezza di Dio per questa Chiesa. C’era il timore che questa piccola Diocesi venisse accorpata ad altre, e invece il Signore ha pensato che questa pianta avesse bisogno di cure e attenzioni particolari perché può portare ancora buoni frutti. L’arrivo di un Vescovo è un atto di amore di Dio per questa Chiesa. Vogliamo cercare con tutto noi stessi di essere degni di questa benedizione del Signore per noi.

A me e a voi cristiani consacrati nel battesimo, presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, oggi Dio ripete con forza: «Stringi la veste ai fianchi e alzati». E aggiunge: «Io oggi faccio di te come una città for­tificata, una colonna di ferro, e un muro di bronzo. Io sono con te».

In ogni momento della nostra vita risuonano queste parole. Negli incroci della vita, nei momenti belli e in quelli difficili. Oggi Dio le dice a me che arrivo tra voi; le ripete al caro Vescovo Adriano che inizia una nuova pagina del suo cammino; lo dice ai miei fratelli preti chiamati a riprendere il cammino con un nuovo Pastore, lo dice a ciascuno di voi: «Stringi la veste ai fianchi e alzati».

Queste parole mi mettono sulle labbra una prima preghiera: «Ec­comi Signore, pronto a riprendere il cammino. Ecco Signore la tua Chiesa di Chioggia pronta con le vesti ai fianchi e in piedi, pronta a prendere il largo sulla tua Parola, anche quando per una notte in­tera succederà di non pescare nulla. Liberaci da ogni timore, dacci la forza del tuo Spirito, con i suoi doni».

  1. «Desiderate intensamente i carismi più grandi» (1Cor 12,31).

Il famoso inno alla Carità che è risuonato in questa Cattedrale è una pagina alta e insieme concreta. La carità non è una delle virtù cri­stiane, ma è quella che rende cristiano il nostro agire.

Le parole di Paolo mi indicano lo stile con cui io per primo sono chiamato a stare tra voi. La carità è magnanima, ha un animo grande; è benevola, cerca il bene delle persone; non è invidiosa ma gode del bene che c’è in ogni persona; non è orgogliosa; non manca di rispetto; non cerca il proprio interesse; non si adira; non tiene conto del male, ma sa perdonare; cerca la giustizia; gode della verità. La carità tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

L’amore che Gesù ha vissuto e che ci ha consegnato lavando i piedi ai suoi e donando la vita per la sua sposa, la Chiesa, non è un senti­mento sdolcinato, ma una scelta precisa, una decisione ferma. «Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma diventato uomo ho eliminato ciò che è da bambino». I bambini dicono “io”, chi ama sa dire “tu”; i bambini pretendono, chi ama “si dona”; i bambini hanno bisogno di essere amati, chi ama è desideroso di donare gratuitamente amore.

La nostra Chiesa, come tutte le Chiese, ha bisogno di saper comuni­care il vangelo parlando le lingue dell’uomo di oggi; ha bisogno di profezia e del coraggio di osare percorsi nuovi; ha bisogno di una fede capace di osare l’impossibile; ha bisogno di spendersi per gli ultimi. Ma senza questo amore, ripete Paolo, tutto è nulla.

Queste parole mi mettono sulle labbra una seconda preghiera: «Dio dell’amore, Dio Amore, insegnaci a volerci bene e a volere il bene di tutti. Dona a me Vescovo, ai preti e diaconi, a tutti i battezzati un cuore grande, un amore sincero e maturo. Fa che desideriamo in­tensamente questo carisma e sappiamo parlare la lingua della ca­rità, così la tua Chiesa sarà contagiosa, credibile, sacramento dell’unità del genere umano, germoglio per una società più giusta».

  1. «Lo cacciarono fuori della città, ma egli si mise in cammino» (Lc 4,29)

Il Signore mi sta ancora tenendo la mano e indicando la strada con la sua Parola di oggi. Rimango un po’ stordito dalla scena del Van­gelo. Gesù viene rifiutato dai suoi paesani, addirittura vogliono uc­ciderlo. E lui, triste, passa in mezzo a loro e riprende il cammino.

In questo primo giorno tra voi, non sono così ingenuo da non sapere che ci saranno fatiche e prove. Non penso prima di tutto alle mie fatiche, ma a quelle che oggi vive la Chiesa in generale e da cui non è esentata la nostra piccola Chiesa.

Oggi si può vivere bene anche senza il Vangelo; siamo minoranza, siamo piccolo gregge.

«Non è costui il figlio di Giuseppe» sembra dire la gente ai cristiani ricordando loro che sono come tutti, con i difetti di tutti.

«Medico cura te stesso» ripetono a chi osa dire parole diverse ri­cordandoci che abbiamo mille motivi per vergognarci delle nostre fragilità e anche dei nostri peccati.

«Quello che hai fatto a Cafarnao, fallo anche qui» chiedendo molti ai cristiani pretendendo di limitarsi a un concreto servizio sociale ma senza aprire il Vangelo.

Oggi, come sempre è capitato, il vangelo è cacciato fuori dalla città. Oggi il Vangelo è fuori anche dal cuore e dalla vita di tanti cristiani.

Che fare di fronte alla fatica? Di fronte alla fuga di tante persone dalle nostre comunità? Che fare di fronte alla crisi di vocazioni alla vita presbiterale e consacrata?

«Ma egli si mise in cammino». Gesù non si è fermato, non si è arreso, ha ripreso il cammino perché nulla poteva fermare la sua missione.

Qualche settimana fa ho incrociato uno dei preti più anziani di Pa­dova, per tanti anni padre spirituale in Seminario. Gli ho detto: «Oggi è difficile fare il Vescovo». E lui: «Questo è quello che Dio ha pensato per te». Ho ripreso: «Ma a Chioggia il Seminario è vuoto da anni». E lui con una voce ferma: «Lascia stare, questo è quello che Dio ha pensato per te».

Queste parole continuano a risuonare dentro di me e vorrei risuo­nassero anche nel cuore dei miei fratelli preti, dei diaconi, dei cate­chisti, degli educatori, dei genitori, dei nonni: «Questo è quello che Dio ha pensato per te».

E il Vescovo Antonio, per tanti anni Pastore della Chiesa di Padova, nei giorni scorsi mi ha ricordato: «Guarda che c’è anche la croce, senza abbracciare la croce non si va da nessuna parte».

Lungi da me la tristezza o l’ansia per le fatiche e le prove. Lungi da me ogni lamento. La croce c’è per tutti; il crocifisso è altra cosa. Noi cristiani non siamo “doloristi”. Non siamo stati salvati da un atto di eroismo, siamo stati salvati dal più grande atto d’amore da parte di colui che dopo aver amato ì suoi che erano nel mondo li ha amati fino alla fine.

Ecco il crocifisso: «E voi Vescovo, preti, cristiani, amate come Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato la vita per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla Parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga».

Ecco cari fratelli e sorelle della Chiesa di Chioggia. Per me e per voi risuonano le parole che oggi la liturgia ci consegna: «Stringi la veste ai fianchi e alzati». «Desiderate intensamente i carismi più grandi». «Ma egli si mise in cammino».

Buon Santo viaggio a me e a voi, a noi insieme. Con la gioia del van­gelo, pronti ad attraversare questo tempo drammatico e magnifico, senza nostalgie di altri tempi, senza ritenerci troppo importanti né indispensabili, con leggerezza e con il sorriso; il mondo è già stato salvato dal Signore.

Il mare tante volte è agitato, ma nel profondo il cristiano è in pace perché colui che ci conosceva e ci amava prima che fossimo formati nel grembo materno continua a camminare con noi.