La giornata della vita consacrata cade nell’anno Giubileo. Il breve pellegrinaggio che abbiamo compiuto ci colloca dentro questo evento di grazia che la provvidenza ci dona di vivere.
Una delle esperienze più forti che la fede cristiana ci regala è la possibilità di ripartire sempre, di ricominciare una, dieci, mille volte. Il cristiano è un eterno pellegrino, nel suo cammino verso l’incontro con Dio; tante volte si ferma, rallenta, sbaglia strada, ma ogni volta ci è data la possibilità di ripartire.
Il segno più evidente di questa possibilità è il sacramento della Penitenza; Dio non si stanca mai di perdonare, ricorda papa Francesco, siamo noi che spesso perdiamo la fiducia nella possibilità di ripartire sempre di nuovo. E il Giubileo si colloca dentro questa meravigliosa opportunità: il dono di una ripartenza nella nostra vita cristiana e nella nostra consacrazione religiosa.
In questo Anno Santo e in questa giornata particolare nella quale rinnoverete gli impegni della vostra consacrazione a Dio, sentiamo risuonare le parole di Simeone: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2,30).
Il Vangelo ci presenta questo anziano come un uomo semplice, “un uomo giusto e pio” dice il testo di Luca. Tra tutte le persone che stavano al tempio quel giorno, solo lui vede e riconosce in Gesù il Salvatore.
Che cosa ha visto? Un bambino: un piccolo, fragile e semplice bambino. Ma riconosce in quel bambino la salvezza, perché lo Spirito Santo lo illumina. Lo prende tra le braccia e percepisce, nella fede, che in Lui Dio porterà a compimento le sue promesse.
Cari fratelli e sorelle consacrati, siete e siamo tutti uomini e donne semplici come Simeone, credo anche un po’ giusti e pii, ma guidati dallo Spirito, un giorno lontano abbiamo visto il tesoro che vale più di tutti gli averi del mondo. Per questo tesoro abbiamo lasciato cose preziose, come i beni materiali e una famiglia nostra.
Perché l’abbiamo fatto? Perché ci siamo innamorati di Gesù, abbiamo visto in Lui una possibilità inaudita per la nostra povera esistenza e, rapiti dal suo sguardo, abbiamo lasciato il resto.
«I miei occhi han visto la tua salvezza», dice Simeone.
La vita consacrata è la conseguenza di un incontro, è il frutto di qualcosa che abbiamo visto e ha afferrato la nostra vita. Abbiamo accolto il dono del Signore a braccia aperte, come ha fatto Simeone. Il consacrato è colui che ogni giorno guarda sé stesso e guarda attorno a sé e ripete: «Tutto è dono, tutto è grazia».
«I miei occhi han visto la tua salvezza»; sono anche le parole che ripetiamo ogni sera a Compieta. Con esse concludiamo la giornata dicendo: «Signore, la mia salvezza viene da Te, le mie mani non sono vuote, ma piene della tua grazia».
In questo Anno Santo guardiamo indietro, rileggiamo la nostra storia e riconosciamo il dono fedele di Dio non solo nei grandi momenti della vita, ma anche nelle fragilità, nelle debolezze, nelle miserie. Per questo oggi ci è donata la possibilità di un perdono particolare.
Il tentatore non manca di ricordarci le nostre miserie e le nostre mani vuote e ci ripete: «In tanti anni non sei migliorato, non hai realizzato quello che potevi, non ti hanno lasciato fare quello per cui eri portato, non sei stato sempre fedele, non sei capace…» e così via. Il diavolo ama umiliarci e denigrarci.
Ognuno di noi conosce bene questa storia e queste parole. Noi vediamo che ciò in parte è vero; sì siamo poveri e fragili, abbiamo il nostro carattere, abbiamo fatto i nostri errori, ma sappiamo anche che Dio sempre ci ama e si dona a noi, anche con nostre miserie, anzi si serve di noi, proprio di noi, per edificare la sua Chiesa.
San Girolamo una volta ha pregato dicendo: «Signore, ti ho dato tutto, tutto, cosa manca ancora?» E la risposta è stata questa: «Non mi hai ancora dato i tuoi peccati, le tue miserie; dammi le tue miserie». Quando con umiltà e fiducia doniamo a Dio anche le nostre miserie lui ci avvolge col suo perdono e così possiamo ripartire, anzi rinascere. Le nostre miserie non sono certo il regalo più bello, ma solo così potremmo dire con Paolo: «Dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia».
Simeone ha intuito che attraverso quel bambino arrivava la salvezza e la consolazione anche per lui. È molto bello il legame tra queste due parole: la salvezza come consolazione. Il Vangelo ripete per tre volte che egli aveva familiarità con lo Spirito Santo, che lo ispirava e lo muoveva.
La vita consacrata, se resta salda nell’amore del Signore, è sempre piena di speranza: vede la bellezza, la salvezza e la consolazione anche nel buio di questo nostro tempo.
Vede che la povertà non è uno sforzo titanico, ma una libertà superiore, che ci regala Dio e i fratelli come le vere ricchezze. Vede che la castità non è una sterilità austera, ma la via per amare senza possedere. Vede che l’obbedienza non è disciplina, ma dono di sé nello stile di Gesù.
«I miei occhi han visto la tua salvezza».
Simeone vede Gesù piccolo, umile, venuto per servire e non per essere servito, e definisce sé stesso servo: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace» (v. 29). È la preghiera che vorremmo sorgesse sempre sulle nostre labbra sia che una giornata sia stata bella e ricca, sia che sia stata difficile e pesante.
«I miei occhi hanno visto la tua salvezza».
Gli occhi di Simeone hanno visto la salvezza perché l’aspettavano (v. 25). Erano occhi che attendevano, che speravano. Cercavano la luce e videro la luce delle genti (v. 32).
Erano occhi anziani, ma accesi di speranza. Lo sguardo dei consacrati non può che essere uno sguardo di speranza. Guardandosi attorno, è facile perdere la speranza: le cose che non vanno, il calo delle vocazioni…
Ci abita la tentazione di uno sguardo mondano, che azzera la speranza. Simeone e Anna erano anziani, soli, eppure non avevano perso la speranza, perché stavano a contatto col Signore.
Anna «non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (v. 37). Ecco il segreto: non allontanarsi dal Signore, fonte della speranza. Perdiamo la speranza se non guardiamo al Signore ogni giorno.
+ Giampaolo Dianin