Grazie per questa pagina di vangelo

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L'editoriale per il settimanale diocesano Nuova Scintilla
27-04-2025

Papa Francesco è tornato alla casa del Padre all’alba del lunedì di Pasqua mentre tutti dormivano dopo le celebrazioni, i pranzi e gli auguri che ci siamo scambiati per la grande festa di Pasqua. L’avevamo visto il giorno di Pasqua dare la benedizione “urbi et orbi” alla Chiesa e al mondo e poi girare per la piazza quasi a salutare per l’ultima volta il popolo santo di Dio come lui amava chiamare i cristiani. Ha servito la Chiesa e l’ha amata fino all’ultimo respiro. Ha donato al mondo il suo ultimo messaggio implorando ancora una volta il dono della pace come ormai da anni faceva ad ogni preghiera dell’Angelus. Ci ha lasciato nell’Anno Santo, l’anno della speranza, l’anno dell’infinita e immeritata misericordia di Dio per noi e per l’umanità intera.

Mi passano davanti tante fotografie di questi dodici anni di Pontificato: il semplice e familiare “buonasera” del primo giorno e quel suo inchinarsi chiedendo la benedizione dei fedeli; la prima uscita a Lampedusa simbolo di un pontificato che ha messo i poveri al primo posto, tutti i poveri di ogni povertà. E i suoi documenti che rimarranno come pietra miliare di questo pontificato: la gioia del vangelo (Evangelii gaudium), la letizia dell’amore (Amoris laetitia), la fratellanza universale (Fratelli tutti), la cura del creato (Laudato si). Sono testi che hanno avuto grande eco nella Chiesa e anche fuori della Chiesa. Ma ci sono anche altri documenti che ci hanno fatto conoscere la sua anima e la sua spiritualità: la chiamata di tutti alla santità e la “santità della porta accanto” (Gaudete et exultate); l’amore ai giovani (Christus vivit) e l’enciclica sull’amore umano e divino (Dilexit nos). Ci lascia un testamento importante che non vogliamo lasciare ai libri di storia.

Papa Francesco è stato anche una pietra d’inciampo e una presenza destabilizzante in nome del vangelo che, se preso sul serio, continua a inquietare, provocare e anche scandalizzare. Per me Francesco è stato soprattutto una pagina di vangelo. Lo è stato raccontandoci il volto di un Dio misericordioso che perdona sempre e di una Chiesa “ospedale da campo” per tutti. Lo è stato andando all’essenziale dell’evangelizzazione chiamata a mettere al centro l’incontro con Cristo prima di ogni altro aspetto che spesso appesantisce la vita del discepolo. Lo è stato col suo anelito alla riforma pastorale e missionaria della Chiesa con parole e gesti che hanno messo in discussione consuetudini secolari chiedendo a noi di andare oltre il virus dell’abbiamo sempre fatto così. Lo è stato portando avanti i dettami del Concilio ma sempre attento alle sfide del nostro tempo e chiedendo a tutti di essere “Chiesa in uscita”. Lo è stato verso i preti chiedendo loro di avere “l’odore delle pecore” e verso i cristiani perché si rialzino in piedi riscoprendo la vocazione battesimale che li rende “discepoli missionari”.

Papa Francesco ha scritto una pagina di vangelo anche per come ha vissuto e ha comunicato: ha scelto di vivere a casa Santa Marta per essere vicino a tutti i suoi collaboratori, di vestire in modo sobrio e senza sfarzi, di andare a comprarsi gli occhiali come fanno tutti. Il suo linguaggio è stato sempre immediato, pieno di immagini e di sfumature che si imprimono nella memoria anche se non hanno il crisma di ciò che è ecclesialmente corretto.

Un papa che ha messo al centro la persona che per noi cristiani è figlio amato da Dio a prescindere dai suoi meriti proprio come amava fare Gesù vicino a tutti i peccatori chiamandoli ad entrare nel banchetto del regno preparato anche per loro.

L’ultimo scritto di papa Francesco, firmato per il libro del cardinale Angelo Scola sulla vecchiaia, illumina questo momento raccontando come lui lo stava vivendo: «La morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa. È un nuovo inizio, perché la vita eterna, che chi ama già sperimenta sulla terra dentro le occupazioni di ogni giorno, è iniziare qualcosa che non finirà. Ed è proprio per questo motivo che è un inizio “nuovo”, perché vivremo qualcosa che mai abbiamo vissuto pienamente: l’eternità».

Grazie, papa Francesco.

+ Giampaolo Dianin