Ecumenismo del sangue

Facebooktwitterpinterestmail

lo sguardo pastorale

Ecumenismo del sangue

Forse la notizia non ha colpito più di tanto le nostre comunità cristiane. È senz’altro un fatto storico, ma l’incontro del Papa con il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie rientra in quel genere di eventi che sembrano non avere ricadute significative nella vita delle nostre comunità. In realtà non è così, ed è importante sostare sui perché.

Innanzitutto perché ribadisce lo stile nuovo con cui la Chiesa percepisce se stessa e si mette in relazione. È lo stile umile di un’istituzione che vanta origini divine ma non ne fa elemento di supremazia e di distacco ma piuttosto di ricerca e di incontro. La Chiesa riconosce che l’opera della salvezza è in atto dentro la storia e percorre vie inedite, per lo più sconosciute e sorprendenti, e, pur essendo lo strumento scelto per la sua manifestazione e attuazione, non ne ha il monopolio. Di questo stile è chiamata ad alimentarsi la nostra pastorale, per cui l’esperienza di vita cristiana, lungi dall’essere motivo di distacco e di scontro, diventa luogo di comunione e condivisione per tutti.

Poi perché dimostra concretamente che non è secondo il Vangelo attestarsi su separazioni avvenute nella storia per motivazioni più politico sociali che religiose, e continuare a guardare dentro il proprio recinto con la convinzione che questo atteggiamento salvaguardi la propria identità da pressioni esterne. Certa pastorale è davvero miope se pensa di essere chiamata a conservare l’esistente resistendo ad ogni proposta di novità per evitare il rischio della contaminazione.

Ancora perché valorizza la mediazione di persone e culture segnatamente diverse, come sono quelle cubane, per sbarazzarsi di precomprensioni che luoghi e personaggi potrebbero far risaltare. Non si tratta di mettere la testa sotto la sabbia, ma di saper distinguere ciò che è fondamentale da ciò che è secondario, e di cogliere ogni occasione per dire il proprio desiderio di fraternità e riconciliazione. Ci sono anche nella nostra pastorale terreni franchi su cui stabilire relazioni fruttuose e promuovere progetti condivisi. Si chiamano pace, giustizia, libertà, solidarietà, sviluppo, e il loro nome è conosciuto da tutti, perché tutti ne portano sulla carne il bisogno e la chiamata.

Da ultimo perché al centro del colloquio ci sarà il genocidio dei cristiani in atto per mano del terrorismo. È l’apparentamento del sangue, quello di Cristo che ci ha “comperati a caro prezzo”, riconosciuto in quello di tanti fratelli che ancora oggi muoiono per la fede, avversati da una cultura fondamentalista che nega tutto ciò che non corrisponde alla propria visione di Dio, del mondo, della società umana. Noi giustamente promuoviamo la compassione, che si fa dono di beni e pressione politica. Ma siamo ricondotti anche a porre lo sguardo su altre forme di martirio che si consumano nelle nostre comunità occidentali, dove il sangue viene sparso a causa di conflitti campanilistici, di arroccamenti legalistici, di sconfessioni reciproche, di reazioni gelose e invidiose. L’impegno pastorale viene tante volte svilito da queste derive pagane che alimentano la persecuzione più vasta del secolarismo ostile o indifferente.

Mentre Francesco e Kirill si scambiano l’abbraccio riconciliante all’aeroporto internazionale José Martì dell’Avana, alla presenza del Presidente cubano Raul Castro, noi ascoltiamo quanto afferma il Pontefice in uno dei suoi messaggi: “I nostri martiri ci stanno gridando: «Siamo uno! Già abbiamo un’unità, nello spirito e anche nel sangue»”. Vale a livello mondiale, vale a livello locale, vale nella Chiesa e nel suo rapporto col mondo.

don Francesco Zenna