A proposito di maternità surrogata

Dilemma etico, dilemma umano

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Papa Francesco ha definito la pratica dell’utero in affitto “deprecabile” perché “fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre”, cioè di donne che molto spesso a causa della povertà si prestano a dare alla luce ad un figlio per cederlo a coloro che lo hanno commissionato. Così nei paesi più poveri sono sorte agenzie specializzate nel reclutare giovani donne in stato di bisogno che, in cambio di compenso economico, si sottopongono a visite mediche, a terapie ormonali, e al trasferimento di un embrione precedentemente formato dall’unione di gameti di persone ignote o “committenti”. Se la gravidanza comincerà, arrivata al termine si concluderà con il parto del bambino che, per contratto, dovrà essere ceduto ai richiedenti; se invece non comincerà, la donna sarà sottoposta nuovamente ad un ciclo di fecondazione artificiale.
Si rivolgono a queste agenzie principalmente coppie omosessuali maschili per ovvie ragioni (desiderano un figlio ma nella coppia manca la madre) e coppie eterosessuali nelle quali la donna non può portare avanti una gravidanza per motivi di salute ma, a volte, anche per motivi psicologici o estetici. Sebbene in piccola percentuale, anche persone single, sia uomini che donne, chiedono un figlio con l’utero in affitto e questo sottolinea ancora maggiormente la mercificazione di bambini, oggetto di un desiderio che è possibile concretizzare ordinandolo e comprandolo come un qualsiasi prodotto in commercio.
Questo ha permesso in pochi anni la nascita di un vero e proprio business che non si fa scrupoli se ai neonati è tolto il contatto, la voce, l’odore e il latte materni e quindi non si preoccupa del dolore che quello strappo psico relazionale segnerà per sempre non solo quella madre ma anche quel bambino. L’utero non è un semplice serbatoio che hanno le donne e la gravidanza non è semplicemente sfornare un bambino. Ogni donna in gravidanza vedrà modificare giorno dopo giorno il proprio corpo e crescere nel proprio grembo un nuovo essere umano che si alimenta dal suo sangue, che si addormenta al ritmo dei battiti del suo cuore, che riconosce la sua voce e percepisce le sue emozioni e che riceverà da quella madre gestante cellule con il cento per cento del suo patrimonio genetico che andranno ad insediarsi e a vivere in lui, rendendolo così biologicamente anche figlio proprio, seppure in piccolissima percentuale.
Con quel bambino si è instaurato da subito un dialogo molto intenso, detto “cross talk”, fatto di scambi ormonali, molecolari e cellulari. Il piccolo comunica alla mamma la sua presenza sin dai primi giorni della gravidanza e il corpo materno lo accoglie e lo protegge come se fosse una parte di lei, attivando una reazione specifica di immunotolleranza che impedisce di riconoscerlo come “estraneo” e rigettarlo come tale. Nel caso della maternità surrogata il patrimonio genetico del feto è addirittura al cento per cento diverso da quello materno, e non al cinquanta per cento come nelle gravidanze naturali! Oltre alla migrazione di cellule materne nel corpo fetale, è nota, da decenni, anche la migrazione di cellule fetali nel sangue materno dove vengono ricercate per ricavarne il DNA fetale e poterne studiare le caratteristiche volte ad escludere eventuali malattie genetiche.
Solo recentemente però si è potuto dimostrare in maniera più dettagliata la presenza di cellule fetali in tutti gli organi materni e in particolare nel sistema limbico del cervello dove favoriscono quelle alterazioni strutturali che conferiscono un vantaggio adattivo alla maternità. Grazie a queste cellule fetali si stabilisce un importante legame madre-bambino e la futura mamma sviluppa un attaccamento stabile e sicuro con il figlio e acquisisce la capacità di riconoscerne i bisogni o capire situazioni potenzialmente pericolose per lui. Sono state definite anche “cellule d’amore” che il figlio invia alla madre per favorire la sua capacità di accoglierlo e di amarlo. Anche il feto ha quindi un ruolo attivo sorprendente nel modulare la capacità della mamma di amarlo. Dopo la gravidanza la donna non sarà più quella che ha firmato il contratto, non sarà mai più la stessa di prima, porterà nel suo corpo per sempre la memoria di quel figlio che non ha potuto abbracciare, allattare e crescere.

Elena Ramilli
Gremio di Bioetica