Comprendere la Bibbia - 102

Il Magistero e il canone

Facebooktwitterpinterestmail

La prima dichiarazione del Magistero a riguardo del canone si ha nel Concilio di Ippona (393, assemblea plenaria dei vescovi della provincia d’Africa) che riporta il canone lungo non solo per l’AT, ma anche per il NT, e differisce da quello attuale soltanto per qualche diversità nella successione dei libri. Lo stesso canone fu confermato dal III (397) e IV (419) Concilio di Cartagine. I Padri del Concilio di Ippona avevano espressamente affermato che il canone doveva essere confermato dalla Chiesa di Roma. Non risulta che ai vescovi di quei concili sia giunta tale conferma da Roma. Risulta comunque che in quell’epoca anche la Chiesa di Roma aveva lo stesso canone. Nel 405 Papa Innocenzo I spedisce al vescovo di Tolosa, Esuperio, una lettera (Consulenti tibi) in cui riporta per l’AT e il NT un canone identico a quello diIppona.

La Chiesa di Occidente presenta questo stesso canone lungo nel Decreto Gelasiano (492 ca. Enchiridion Biblicum 26), per cui la Chiesa, fin dal IV sec. sostenne nei suoi pronunciamenti l’attuale canone lungo. La Chiesa di Oriente accettò il canone lungo nel Concilio Trullano II o Quinisesto (692). Il patriarca Fozio († 891) lo confermò e dichiarò ancora una volta vincolante per tutta la chiesa orientale.

Il primo intervento della Chiesa a livello universale nei confronti del testo sacro si ebbe nel Concilio di Firenze (1442). Nell’ultimo decreto di questo concilio viene presentato l’elenco dei libri sacri conforme a quello dei concili africani e del Decreto Gelasiano (Bolla Cantate Domino 4 febbraio 1442). Non si tratta però di una definizione ma di una professione di fede nel canone biblico: La Chiesa confessa un solo, identico Dio come autore dell’antico e nuovo Testamento […] perché i santi dell’uno e dell’altro Testamento hanno parlato sotto l’ispirazione del medesimo Spirito Santo. Di questi accetta e venera i libri compresi sotto i seguenti titoli […] (E.B. 47).

Dopo il concilio di Firenze sembrava fosse definitivamente stabilito quali e quanti libri apparte­nessero alla Sacra Scrittura, ma Lutero accese nuove dispute. Nella sua versione della Bibbia in tedesco tradusse anche i deuterocanonici dell’AT, ma li dichiarò espressamente apocrifi e come libri da non ritenere sullo stesso piano della Sacra Scrittura e che tuttavia sono utili e buoni da leggere. Il Concilio di Trento si vide quindi costretto a decidere in maniera vincolante, e per sempre, la questione del canone. L’8 aprile 1546, con il decreto: De libris sacris et de traditionibus recipiendis, definì solennemente l’elenco dei libri dell’Antico e Nuovo Testamento, e concluse: Se qualcuno non accoglie come sacri e canonici questi libri, con tutte le loro parti, come si è solito leggerli nella Chiesa cattolica e si trovano nell’antica Volgata latina, e consapevolmente disprezzasse le suddette tradizioni: sia scomunicato (EB 60).

Il concilio di Trento, contro le chiese della Riforma, diede l’elenco completo dei Libri Sacri conformemente ai Concili precedenti: 44 per l’AT (unì Lamentazioni e Baruc in un unico libro con Geremia), e 27 per il NT; incluse quindi i libri deuterocanonici e scomunicò tutti coloro che non accettavano come sacri e canonici tali libri e con tutte le loro parti. Mediante l’inciso: con tutte le loro parti, si volle assicurare la canonicità di brevi sezioni, come la finale di Marco (Mc 16,9-20), il sudore di sangue (Lc 22,43-44) e l’episodio dell’adultera (Gv 7,53-8,11), che ancor oggi nel NT protestante non figurano o sono posti tra parentesi.

Gastone Boscolo