Sguardo Pastorale

IL VESCOVO DIOCESANO

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Non capita spesso di fermarsi a riflettere sul ruolo della figura del vescovo per una chiesa diocesana e sull’importanza della sua presenza. Capita, invece, che per abitudine lo diamo per scontato, così come il parroco in parrocchia, e per lo più lo pensiamo in un ruolo istituzionale.

Ogni vescovo, dal momento dell’ordinazione episcopale, entra a far parte del collegio episcopale e, in forza di questo, nella successione apostolica: i vescovi sono, infatti, i successori degli apostoli mediante lo Spirito Santo loro donato.

Paradigma di vescovo è quello diocesano che “incarna” l’immagine del Pastore chiamato a guidare una porzione del popolo di Dio e ad averne cura. Dal momento in cui prende possesso della diocesi, per cui è stato nominato, è chiamato ad essere pastore sollecito nei confronti di tutti i suoi fedeli «di qualsiasi età, condizione o nazione, sia di coloro che abitano nel territorio sia di coloro che vi si trovano temporaneamente» (can. 383 § 1); inoltre deve provvedere alle necessità spirituali anche di quei fedeli che appartengano ad un altro rito (§ 2), favorire il cammino ecumenico (§ 3) e considerare affidati a lui anche i non battezzati (§4).

Un rapporto particolare è chiamato ad instaurarlo e viverlo con i presbiteri della diocesi che considererà come collaboratori e consiglieri, ne difenderà i diritti e si preoccuperà che assolvano ai loro obblighi, che abbiano i mezzi per una vita dignitosa e che alimentino la vita spirituale (can. 384).

Nei confronti di tutti dovrà farsi garante dell’integrità e unità della fede che la comunità ecclesiale è chiamata a professare.

Il ruolo del vescovo si estende a tutta la vita di una diocesi e sembra un compito arduo se non impossibile per una persona. Ciò che poi gli permetterà di realizzare al meglio del suo possibile il mandato affidatogli sarà lo stile con cui si proporrà: lo stile non solo nel modo di presentarsi o di porsi ma soprattutto nella qualità che saprà dare alle relazioni che instaurerà. Essere autentico pastore (come il Buon Pastore) e padre richiede un forte investimento di energie proprio su questo fronte e come in una famiglia non è detto che si raccolgano sempre frutti dai propri sforzi. Le relazioni più delicate sono senza dubbio quelle che vivrà con i suoi sacerdoti, non ce lo possiamo nascondere, improntate sempre alla disponibilità dell’ascolto, al dialogo e al confronto, e in equilibrio fra una fraternità liberante e una paternità ferma.

Capisco perché papa Francesco inviti sempre i presbiteri a non pensare alla carriera perché alla fine non si tratta mai, nella Chiesa, di avere un posto più alto di quello degli altri perché prima di tutto si tratta di aver maturato e di desiderare una fraternità che liberi le nostre relazioni dai timori, dai condizionamenti, dalle invidie o dai vittimismi. Per essere pastori di una diocesi o di una parrocchia bisogna coltivare un cuore libero di desiderare gli altri come fratelli per noi. È nella fraternità che ci si riesce ad affidare gli uni agli altri anche nell’obbedienza alla missione della Chiesa dove molti sono i carismi e i ministeri che nel vescovo ritrovano la loro unità.

Don Simone Zocca