Sguardo pastorale

Misurare la misericordia

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Domenica scorsa, al termine della Santa Messa, una signora mi chiede di confessarla. Conosco questa persona e già immagino cosa mi dirà e come me lo dirà. Ha sofferto molto e nel suo percorso spirituale ha sviluppato un forte senso di scrupolo per tutto ciò che riconosce di aver omesso o di non riuscire ad accettare con gratuità. Prima di salutarci mi dice: “Ho letto che i peccati veniali aumentano i nostri giorni in purgatorio! Quindi non sono per niente da sottovalutare. Cosa dice? È vero?”. Lì per lì stavo per liquidarla con due parole scontatissime, avevo un po’ di fretta, ma mi sono fermato ancora e, pensando al suo animo, alla sua formazione e sensibilità spirituale, ho provato a farle capire che contare i peccati veniali serve solo a noi e non a Dio. Serve a noi che abbiamo bisogno di guardare alla nostra vita e al tempo che scorre nell’abitudinarietà di alcuni comportamenti o gesti per valutare la nostra progressione spirituale o, al contrario, la nostra perseveranza a quelle inclinazioni che ci rendono “poveretti nello spirito” e non “poveri in spirito”. Dio che ci ama, non conta: Lui ama e ci usa misericordia.

Contare fa parte della struttura del nostro tempo: contiamo i giorni, gli anni, i successi, i fallimenti… contiamo tutto, misuriamo ogni parola, giudichiamo persino le intenzioni. A che serve però quando parliamo del nostro rapporto con Dio o del desiderio di appartenergli per sempre, nella gloria della vita, noi e i nostri cari? Non può servire a misurare i nostri presunti meriti o gli sforzi che cerchiamo di attuare per mostrarci diversi, cambiati. Non può servire per contare le nostre buone azioni. Può servire solo per prendere maggiormente consapevolezza delle nostre fragilità e del fatto che senza Lui non ci salviamo. Può servire per convincerci di invocare ogni giorno la sua misericordia su di noi, in maniera abbondante e senza misura. Anche la preghiera che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato per “scontare” i peccati veniali nostri e dei defunti deve essere compiuta in questo orizzonte. Dio ama e non conta, dicevamo. Come può essere allora che misuri le nostre fragilità in centimetri o metri di distanza da Lui? Non lo fa. Non c’è automatismo né in un senso né nell’altro perché Dio ama gratis.

Ma il nostro cuore deve essere educato a chiedere ciò di cui ha più bisogno e della sua misericordia abbiamo tutti bisogno, vivi e defunti, per la comunione che ci lega nel suo Figlio Gesù. Allora dobbiamo educare a questo senso della preghiera di intercessione e delle pie pratiche per chiedere l’indulgenza per i peccati commessi. Non possiamo dire che non serve a niente ricorrere a quelle preghiere, magari ridendo sotto i baffi nei confronti di chi le compie. Abbiamo però la responsabilità di offrire le corrette categorie teologiche per farle comprendere e per farle diventare strumenti attraverso i quali la fede matura e si educa. Ho un’idea forte che mi ritorna spesso e cioè che è la preghiera educata che fa crescere la fede perché il principio è sempre quello: lex orandi, lex credendi. Quindi mi chiedo se non dovremmo rafforzare i nostri sforzi per educare la preghiera e aiutare così le persone ad introdursi ad un senso più autentico della fede e non viceversa.

don Simone Zocca