RIFLESSIONI DEL VESCOVO SULL’EVENTO DI DOMENICA SCORSA

Padre Marella, salvato dalla carità

Bologna, domenica 4 ottobre: Padre Olinto Marella primo ‘Beato’ dell’Isola di Pellestrina e della Diocesi di Chioggia

ritratto marella
Facebooktwitterpinterestmail

Nell’attesa di iniziare la celebrazione della s. messa in cui il venerabile servo di Dio Olinto Marella, presbitero diocesano e pastore secondo il cuore di Cristo, padre dei poveri e difensore dei deboli, venisse proclamato ‘BEATO’, in una cappella della Basilica di san Petronio mi trovavo con diversi vescovi, anche emeriti, dell’Emilia Romagna. Spiccava per età l’ultimo vescovo presente al Concilio Vaticano secondo, mons. Luigi Bettazzi, e naturalmente l’arcivescovo di Bologna card. Matteo Maria Zuppi, delegato dal Papa a presiedere il Rito. E’ circolato uno scambio di pareri e valutazioni sulla persona e l’opera di padre Marella e sulle sue vicende personali che lo hanno visto passare in tempo relativamente breve ‘dalla polvere agli altari’. Emergevano dalla memoria dei vescovi emeriti che lo avevano conosciuto, specialmente del 96enne mons. Bettazzi, i ricordi sui tempi e persone implicati nella vicenda di don Olinto. Mons. Bettazzi infatti fu ordinato prete a Bologna nel 1946 e poi fu vescovo ausiliare di Bologna dal 1963 fino al 1966, dunque negli ultimi vent’anni della vita e del ministero di don Olinto Marella a Bologna. Era bello sentire parlare di quel prete di cui sapevano che aveva subito ‘la sospensione a divinis’, cioè il divieto di esercitare il ministero sacerdotale e quindi pure di celebrare la s. messa. Le motivazioni venivano più dalla carica umana del giovane sacerdote Marella e dalla conseguente apertura di orizzonti, difficili da accogliere a quel tempo. C’erano dei sospetti dottrinali che venivano più dal fatto che la sua famiglia aveva dato ospitalità a don Romolo Murri, presbitero e politico italiano, tra i fondatori del cristianesimo sociale in Italia che pure subì la sospensione a divinis e la scomunica nel 1909, revocata poi nel 1943. Così infatti don Olinto scriveva al suo vescovo di Chioggia mons. Bassani: “Eccellenza… Il sacerdote Romolo Murri fu a Pellestrina lunedì scorso e fu nella nostra casa paterna – dove io convivo con la mamma e con mio fratello Tullio – ospite di quest’ultimo. Il quale non ha creduto di doversi limitare quel diritto pieno di ospitalità per i propri amici che egli d’altronde rispetta fino allo scrupolo, per quanto riguarda me. D’altra parte io non credo di venir meno ai miei doveri di sacerdote rispettando per mio conto questa condizione di indipendenza reciproca nelle relazioni personali dei membri della mia famiglia…”.

Altra causa del provvedimento di sospensione fu l’attività che il Marella intraprese a Pellestrina raccogliendo ragazzi e ragazze nel suo ‘ricreatorio popolare’ per i giovani bisognosi dell’Isola. Anche per questo problema il Marella dovette scrivere al vescovo per sedare le insinuazioni che venivano fatte sul suo conto: “…Credo poi che anche l’educazione fisica impartita con i riguardi speciali per ciascun sesso sia un aiuto utilissimo…. . Del resto a Pellestrina, che io sappia, non si è avuto campo di osservare gli inconvenienti che una pruderie, oh troppo prudenter, sembra abbia fatto intuire al prudente sacerdote di Venezia. Anche delle chiacchiere, se vi fossero state, qualcuno dei numerosi che qui hanno a cuore quanto si fa per l’educazione della giovane generazione, mi avrebbe caritatevolmente avvertito…”.

La sua apertura umana verso chi aveva idee nuove e il suo servizio di carità ed educazione verso i giovani, specie bisognosi, gli hanno valso la ‘sospensione a divinis’ e perfino la esclusione dalla comunione eucaristica nel suo ambiente, provvedimenti per i quali egli ebbe molto a soffrire e per i quali decise di lasciare il suo territorio e traferirsi altrove, fin quando si sistemò definitivamente a Bologna con la madre, dove egli si mise a lavorare nell’insegnamento e nella carità e accoglienza di poveri, fino a quando fu poi riaccolto e riammesso al ministero presbiterale. E’ stato bello sentire parlare di lui, della sua umanità, della sua forza d’animo, della sua intelligenza e apertura, della sua carità, della sua fede e umiltà, come certo appare dalle sue lettere rivolte al vescovo Bassani. Riporto qui una frase che sintetizza la forza spirituale che l’ha sostenuto nelle difficili situazioni che si è trovato a vivere: “Posso dire con tutta verità che la strada della mia salvezza è stata la carità. L’orgoglio mi avrebbe perduto. La carità mi ha salvato”. Una grande via anche per noi oggi, specie presbiteri, per impegnarci a fondo nel nostro ministero, senza scoraggiarci e mollare mai.

+ Adriano