Sguardo pastorale

Santa Sofia

santa sofia istanbul
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Prendo spunto dalla notizia che l’ex basilica di Santa Sofia a Istanbul, ridotta a museo, torna ora ad essere una moschea per una riflessione su uno dei simboli più antichi della cristianità orientale che cambia nuovamente la sua funzione. Sì perché non è la prima volta nella storia che questa chiesa diventa moschea, quello che però mi fa più riflettere è il modo: un atto di forza sul vento di nuove crociate!

Potrei dire che ciò che è scandaloso di questa vicenda, non è il fatto che questo edificio sia tornato ad essere moschea, cioè luogo di culto della fede islamica, perché il ventesimo nome di Dio nel Corano è “Il Sapiente”, per cui rimane salva l’antica dedicazione di questa chiesa sconsacrata alla Sapienza di Dio (se poniamo la questione anche in un orizzonte di dialogo ecumenico). Ciò che fa scandalo, cioè il vero sgambetto, è il modo, dicevo con il quale riprende l’esercizio del culto musulmano: si tratta di un ulteriore atto di forza del padrone di casa, il presidente turco, che ha abbandonato da tempo i principi della laicità sui quali era stata fondata la moderna Turchia per iniziare la sua crociata contro l’Occidente. Questo è solo l’ultimo atto in ordine di tempo, nuovo (forse, ma solo perché si tratta di una scelta eclatante) è il campo di battaglia: quello religioso.

Santa Sofia e la sua storia potrebbero però essere lette come simbolo di quel che resta del cristianesimo occidentale: una casa cristiana, sulla cui cupola campeggia ancora il bellissimo mosaico del Cristo pantocratore, vuota. Forse sono ingiusto e l’ho sparata grossa ma rimane una considerazione che odora di profezia se noi, cristiani di nome oggi, non sapremo vivere di fede cristiana. Rischiamo di lasciare, in un futuro prossimo, molte case vuote se non sapremo abitare oggi il vangelo di Gesù, se non lasceremo che quel Cristo, creatore di ogni cosa, plasmi ogni giorno il nostro cuore. Non è la visione futura delle molte chiese vuote che avremo per mancanza di sacerdoti e di fedeli cristiani ma è lo sguardo realistico sui molti fronti che preferiamo abbandonare per sentirci più sicuri fra le mura delle nostre case (in senso più ampio questa casa è ogni luogo e ogni tempo che abitiamo chiusi in noi stessi).

Dobbiamo vivere con passione la nostra vita cristiana, lasciare che nelle crepe del nostro terreno penetri il seme della Parola di Dio che è dono per noi. Dobbiamo prenderci sul serio perché Cristo non ha fatto finta di donarsi per noi. Invece molte volte assistiamo a delle messe in scena dove la vita reale è un’altra cosa da quello che mostriamo. Siamo più simulatori della vita buona del Vangelo che annunciatori, cioè testimoni, della Buona Notizia. Teatranti di mestiere più che girovaghi per la Missione. Preferiamo abitare in carrozzoni e vivere di espedienti più che dedicarci a fondare la città del Regno. Vedo gente inseguire la promessa di una libertà solo illusoria, che sarà la premessa alla costrizione di nuove prigioni. Se abdichiamo alla gioia di annunciare il Vangelo, offrendo la nostra spicciola quotidianità, siamo già irrimediabilmente dei contenitori vuoti.

don Simone Zocca