Sguardo Pastorale

Il lock-do(w)n

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L’altra settimana, appena le condizioni di restrizioni si sono allentate e le disposizioni governative ci hanno permesso di muoverci per l’esercizio del nostro ministero, con il vescovo abbiamo incontrato tutti i sacerdoti nelle loro sedi vicariali per vederci ma soprattutto per ascoltarci. La quarantena è stata pesante per tutti, anche per i don delle nostre parrocchie, non solo per la privazione improvvisa delle libertà più scontate ma anche per una sensazione di disorientamento come se qualcuno li avesse privati della terra sotto i piedi.

La difficoltà di gestire questi due mesi è stata, soprattutto, quella di vedersi bloccati nelle attività e nella celebrazione dei sacramenti, in modo particolare la Messa con il popolo. Un prete senza la sua comunità di fedeli, che bene o male rappresenta l’orizzonte dei suoi affetti stabili, è veramente solo. Per molti è stato il tempo per riscoprire l’importanza di queste relazioni mantenute alla meglio anche con delle telefonate. In questo periodo alcuni di loro hanno potuto constatare la bellezza anche di una certa stabilità dell’affetto della loro gente, cioè delle persone più vicine alla parrocchia, mentre per altri che da poco erano giunti in parrocchia questo non è stato possibile. 

Chi di loro si è sentito più solo ha però intuito un’idea molto forte: si è accorto che se i confini fisici si restringevano alla casa quelli spirituali si allargavano: ciò ha spinto a creare un’offerta spirituale perché c’era sete da parte della gente.

C’è stata la scoperta, o meglio ancora la riscoperta gioiosa, del rapporto spirituale che un prete ha con la comunità che normalmente è misurato, invece, con le iniziative e sulla loro buona riuscita. Le persone, poi, sono uscite per quello che sono, in senso positivo, e si sono mosse per coltivare la propria fede dopo un primo momento di sconcerto. In alcuni fedeli sicuramente sono sorte delle domande importanti, mentre altri forse si sono persi.

Quindi dopo un primo momento di disorientamento che ha portato tutti a guardare ed aspettare che cosa stava succedendo, si è aperta la finestra del digitale che ha permesso di muovere i primi passi per garantire il più possibile la certezza che un punto di riferimento c’era. Allora le Messe in streaming si sono moltiplicate offrendo la possibilità di entrare nelle case con una presenza e parola di consolazione; alcuni hanno saputo mantenere il contatto con il proprio gruppo catechisti o adulti o giovani; altri hanno cercato di mantenere un rapporto con le famiglie e i fanciulli dell’iniziazione cristiana. 

Ora si tratta di ricominciare da quello che abbiamo capito essere i nostri punti deboli o che si sono dimostrati delle potenzialità. C’è da ricostruire un senso di comunità probabilmente attorno all’eucaristia che ora riprende ad essere celebrata con il popolo, ma anche attorno alla carità e alla condivisione. In questo frangente anche alcuni giovani, che prima non erano coinvolti nella vita della parrocchia, si sono sentiti chiamati a rendersi disponibili per mantenere aperta la porta della solidarietà, altrimenti chiusa per l’indisponibilità di molti volontari più anziani. Ripensandoci come preti in riferimento al luogo teologico della prossimità sapremo ritrovare la strada per rendere più significativa la nostra missione e più eloquente il volto delle nostre parrocchie. 

don Simone Zocca