SGUARDO PASTORALE

Grazie

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Continuo con alcuni spunti di riflessione sulla lettera pastorale del vescovo Adriano, a cui dedicherò ancora altro spazio in questa rubrica all’inizio di quest’anno pastorale. “Grazie” è il primo pensiero che il vescovo rivolge, in apertura della sua lettera, a tutti coloro che ha incontrato durante la sua visita, di parrocchia in parrocchia, fra le famiglie e nei luoghi di lavoro, durante incontri fraterni o istituzionali, a contatto con i fedeli praticanti e con quelli più distanti.

Mi ha incuriosito e un po’ stupito leggere i ringraziamenti all’inizio di un testo “programmatico”, ma poi ho pensato che è proprio quello che si fa quando, terminata la realizzazione di un’opera, si dà inizio alla fase successiva con una inaugurazione oppure, terminato lo studio e l’approfondimento, si pubblicano le conclusioni di una ricerca: si ringrazia sempre chi ha contribuito alla realizzazione del lavoro, edile o intellettuale che sia. A tutti gli effetti, ora inizia il tempo in cui, dopo aver “raccolto i dati” necessari a una completa visione pastorale del territorio diocesano e dopo aver individuato le priorità, ci si mette all’opera, non perché fino adesso non ci si sia prestati ad una azione pastorale ma con l’intenzione di curare maggiormente, e in modo più adeguato all’attuale situazione socio-culturale, quegli aspetti che sono stati giudicati imprescindibili per essere significativi come Chiesa.

L’annuncio del vangelo rimane lo stesso ma cambiano i cuori e le menti, perché cambiano i linguaggi e i preconcetti, cambia la struttura antropologica del conoscere e dell’approcciarsi al mondo e quindi anche alla sfera del religioso; diventa così necessaria una continua e attenta lettura della realtà per intercettarne i segni dei tempi, cioè le resistenze o le involuzioni come le nuove intuizioni e prospettive. Ecco, poi, che si spiega come ai ringraziamenti il vescovo faccia seguire una analisi di alcuni ambiti di impegno quali segni di speranza per la Chiesa diocesana. Rimaniamo però al dire “grazie”, perché dovrebbe essere una parola che sin da subito esce dalla nostra bocca e dal cuore all’inizio e alla fine di ogni azione. La chiamerei attitudine al ringraziamento.

È un’attenzione che ci educa ad un approccio alla realtà e al conseguente comportamento nostro. Spesso noi diciamo “grazie” alla fine di un discorso, di un favore o una gentilezza ricevuti, o dopo l’esecuzione di un comando che abbiamo impartito a qualcuno, a volte a conclusione di una richiesta perentoria per sottolineare l’urgenza di ricevere ciò che abbiamo chiesto. Questo “grazie”, il più delle volte, è solo una formalità. È un “grazie” che si perde fra le altre parole e non arriva al cuore di chi ci ascolta come acqua fresca che ristora dopo un impegno o una fatica. Ma dire “grazie” all’inizio di un discorso o quando dobbiamo chiedere la collaborazione di qualcuno, cambia il nostro approccio alla situazione che stiamo vivendo e ci permette di avere una luce nuova per guardare la realtà che abitiamo.

Dire “grazie”, da subito, ci aiuta a riconoscere ciò che abbiamo ricevuto, a vedere davanti a noi una prospettiva aperta circa il nostro ambito di impegno, quindi ad essere liberi da pregiudizi o pretese o false aspettative. Dire “grazie” subito alleggerisce il cuore e la mente perché ci offre l’opportunità di accorgerci delle persone che ci sono a fianco o che cominciamo ad affiancare quando subentra qualche cambiamento nella nostra vita, e così non ci sentiamo più smarriti ma accompagnati: c’è qualcuno, infatti, che cammina con noi o addirittura ci precede.

Dire “grazie” subito credo sia punto di arrivo e di partenza. Non sarà mica un caso che l’azione più alta della nostra esperienza cristiana è proprio il dire “grazie” a Dio, abbeverandoci a questa fonte.

don Simone Zocca