RIFLETTENDO SUL VANGELO - DOMENICA XXV DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Impegnare al massimo energie e risorse

LETTURE:  Am 8, 4-7; Sal 112; 1 Tm 2, 1-8;  Lc 16, 1-13

Amministratore-infedele
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La parabola che Gesù racconta e che il vangelo di Luca in questa domenica ci propone (Lc 16,1-13), è una delle pagine tra le più intriganti ed anche difficili da interpretare. Letta, infatti, un po’ superficialmente, sembra una pagina in cui troviamo un elogio della disonestà.

Cerchiamo di comprendere il messaggio che il Signore vuole suggerirci con i suoi insegnamenti. Come sappiamo l’evangelista Luca costruisce il suo vangelo narrando il percorso di Gesù verso Gerusalemme, dove si compiranno i giorni della passione, morte e risurrezione, e i discepoli stavano sì seguendo Gesù, ma non con tutta la decisione necessaria. Per questo Gesù, a questo punto del suo viaggio verso Gerusalemme, racconta la parabola dell’amministratore disonesto. Il padrone “lo chiamò e gli disse: che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore” (v.2). A questo punto, silenziosamente, l’amministratore prende atto della decisone del suo datore di lavoro, ma non sta con le mani in mano ed escogita ogni mezzo per trovare una soluzione al suo problema: “So io che cosa fare”, pensa (v. 4).

Attenzione, Gesù non loda certamente la disonesta ricchezza, ma ammira la perspicacia dell’amministratore disonesto indicandolo come esempio, perché anche noi dovremmo servirci di tutti i mezzi che abbiamo a disposizione per prendere una decisione per il vangelo, perché il nostro metterci sui passi del Maestro sia sempre più credibile.

Aldilà della vicenda concreta, quello che sta a cuore a Gesù è mostrare come, in una situazione assolutamente disperata, che si è abbattuta sull’amministratore senza alcuna possibilità di scampo, abbia saputo comportarsi con prontezza, lucida determinazione e ingegnandosi al massimo in vista dell’obiettivo, al punto da meritare l’elogio del padrone stesso. Fuor di metafora, la sconsolata considerazione che “i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce” (v. 8) vuole essere un richiamo a vivere la propria fede non in maniera superficiale, amorfa, banale, attestata su un basso profilo, ma impegnando al massimo le nostre energie e risorse, come fanno generalmente quanti sono pronti a sacrificare tutto pur di raggiungere al massimo grado ricchezza, successo, potere. Nelle faccende di Dio occorre essere scaltri almeno quanto lo siamo nei nostri interessi. Ecco allora il richiamo a prestare molta attenzione alla direzione da dare al nostro cammino per evitare di essere soffocati dalle cose effimere senza cercare la vera libertà che consiste nell’essere protesi, con tutto noi stessi, in ciò che veramente vale. Insomma c’è poca scaltrezza in noi, nell’annunciare Gesù e il suo Regno. Ci illudiamo forse di essere buoni perché un tantino migliori di qualcuno che ci sta attorno, ma ahimè non lo siamo veramente. Ci accontentiamo di essere degli inguaribili moralisti che amano produrre soltanto teorie…: si dovrebbe… sarebbe bene… e così via…; però fatichiamo a vedere compromesso il nostro assurdo standard di vita che spesso non ha nulla di cristiano.

Gesù nel vangelo mette come principio discriminante il fatto che non è possibile servire allo stesso modo due padroni, Dio e il mammona/denaro. Dobbiamo scegliere o l’uno o l’altro, o Dio o i beni terreni. Il mondo si affanna per cercare ciò che prima o poi ci verrà sottratto, ma non per ciò che rimane per sempre.

Mi piace concludere con alcune espressioni che ho trovato in una pagina del libro “Racconti di un pellegrino russo”: “Per grazia di Dio sono uomo e cristiano; per azione grande peccatore; per vocazione pellegrino della specie più misera, errante di luogo in luogo. I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso, con un po’ di pane, e nella tasca interna del camiciotto la sacra Bibbia. Null’altro…”.

don Danilo Marin