SGUARDO PASTORALE

Una chiesa per una pastorale

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Lo scorso 13 luglio, assieme ad altri sacerdoti e molti fedeli, ho potuto assistere alla celebrazione presieduta dal card. Pietro Parolin per la dedicazione della nuova cappella dell’ospedale di Chioggia. Un evento unico nel suo genere perché raramente vi è l’occasione di dedicare (un tempo si diceva “consacrare”, verbo riservato ora solo per le persone) una chiesa nuova e ancor più raro che questo avvenga all’interno di un ospedale civile, perché sempre più spesso ci capita di assistere invece alla chiusura dei luoghi di culto. Un evento, quello accaduto a Chioggia, sul quale desidero soffermarmi un po’ per coglierne il senso pastorale.

“Qui il povero trovi misericordia, l’oppresso ottenga libertà vera e ogni uomo goda della dignità dei tuoi figli, finché tutti giungano alla gioia piena nella santa Gerusalemme del cielo”. Cito uno dei capoversi finali della preghiera di dedicazione di una chiesa nuova, perché mi permette di offrire subito una sintesi chiara di quello che per me dice il senso pastorale di tale rito, e di quale particolarità ha se riferito al contesto ospedaliero.

Quando un gruppo stabile di persone vive un territorio, un luogo, una condizione, e desidera riunirsi per celebrare la fede, lo fa con spontaneità, tanto che basta solo la volontà di farlo per permettere che si realizzi un tempo di preghiera. La costruzione di una chiesa e la sua dedicazione riservano così uno spazio, diventato sacro, alla celebrazione della fede nella vita. Tale evento costituirà il momento più alto di un’esperienza che è andata crescendo. Se questo avviene nel contesto di un paese, la presenza di una chiesa ne caratterizzerà fortemente l’identità nel tempo; l’evento contrario, cioè la chiusura di una chiesa, sarà letto – per forza di cose – come un irrimediabile impoverimento e porterà con sé un grave senso di sconsolatezza per ciò che si è perso. Non si tratta solo di avere quattro mura che stanno in piedi oppure no, ma si tratta del senso della vita e della storia vissuto con o senza i segni più significativi che gli appartengono (questo almeno per un credente). Una chiesa, infatti, è richiamo ad un Oltre e ad una Presenza che accompagna.

È proprio questo aspetto che dice la presenza di una chiesa in un luogo frequentato da credenti e non (pensiamo appunto un ospedale), dove le persone cambiano e le situazioni sono le più disparate; rimane per tutti un segno che annuncia una Presenza che accompagna (“Il-Dio-con-noi” dell’Annunciazione).

Ma questo significato, se lo diciamo di un luogo, lo dobbiamo dire anche di una azione pastorale che deve nascere e alimentarsi dal culto celebrato in un luogo sacro. A dirla più semplicemente, una chiesa fine a se stessa rischia di diventare un museo della fede e non luogo in cui la fede si rafforza e si nutre per poi annunciare il Regno di Dio nella testimonianza della vita. Per cui dalla disponibilità di una chiesa non potrà non seguire un’azione pastorale più intensa e significativa.

In un ospedale, allora, la celebrazione e l’annuncio della misericordia del Signore risorto, dei suoi misteri salvifici, dei sacramenti della salvezza diventeranno quella porta aperta sulla consolazione, sulla riscoperta della dignità della persona e della sua più intima e vera libertà che sempre più difficilmente incontriamo in un contesto sociale dove anche la vita non è più un dono singolare, unico e indisponibile all’individuo, ma deve adeguarsi fino ad essere soffocato da oscure ragioni normative.

don Simone Zocca